sabato 31 dicembre 2011

Le idi di Marzo



Cupo, dalla sceneggiatura raffinata e coinvolgente, l'ultimo film del Clooney regista è sicuramente il miglior prodotto cinematografico in sala in questo periodo natalizio. Nonostante me lo fossi immaginato come un film maggiormente d'azione, "Le idi di Marzo" è un film veramente ben realizzato ed anche molto ben recitato, tra tutti spicca l'interpretazione di Philip Seymour Hoffman. La trama rispecchia in maniera limpida e crudele i retroscena della politica americana e della politica in generale. Un film sulla falsità dunque e principalmente sul tradimento, al quale allude il titolo.

giovedì 22 dicembre 2011

Pina



Non sono una grande amante dei documentari e quest'ultima fatica di Wim Wenders lo è, ma in questo caso si tratta di una narrazione particolare in quanto è il soggetto ad essere particolare. Pina è una grande scenografa e tutta la pellicola ruota attorno alle scene magrittiane che riesce a riprodurre: una combinazione di follia, passione e surrealismo. Incredibile quanto si possa comunicare con il linguaggio non verbale. Seppur la struttura narrativa sia appunto da documentario, la potenza delle immagini è tale da restituire un senso di vivacità e vitalità enorme.

domenica 18 dicembre 2011

Finalmente la felicità

Mai avrei pensato che un film seppur cinepanettonizzato, di Pieraccioni sarebbe potuto sconfinare col genere Vanzina. Si perchè l'ultima pellicola del nostro Leonardo toscano è veramente inguardabile tanto da farmi rivalutarte addirittura il già pessimo film di Fabio Volo. Non solo manca la trama ed i personaggi sono assolutamente inverosimili, ma manca la trama nella maniera più totale, come se ormai fosse un accessorio inutile! La ascesa di Pieraccioni sembra più una progressiva discesa verso l'indescrivibile nullità espressiva...

mercoledì 7 dicembre 2011

Il giorno in più



Riguardo allibita la filmografia di Massimo Venier ricordando il suo nome come quello di un regista di tanti successi del cinema italiano...già perhè "Il giorno in più" è in realtà il film in più che va ad infamare la sua carriera...Il fatto che fosse tratto da un libro di Fabio Volo aiutava in partenza solo la mietitura di un pubblico più vasto, essendo le trame del dj improvvisato "tuttologo" di rara banalità. La trama è dunque debole, ma la regia ancora di più. Siamo proprio a livello di scopiazzature bell'e buone che non tentano nemmeno di essere citazioni! Quel che rimane è solo un pò di commiserazione per la brava Isabella Ragonese che s'è andata ad impelagare in un film proprio non alla sua altezza.

domenica 4 dicembre 2011

Midnight in Paris



Nessun regista riesce a farmi sentire tanto a casa quando vado a vedere i suoi film come Woody Allen...Le sue pellicole trasudano una enorme serenità ed i problemi sono solo una pennellata di colore in più nella già movimentatissima quotidianità. Ricordo a questo proposito l'atmosfera calda di "Tutti dicono I love you" o anche quella di "Manhattan" ed "Io ed Annie". Già perchè Woody Allen ha cambiato tante mogli, ma il suo cinema è sempre rimasto molto riconoscibile. Visto che sono in vena di paralleli posso affermare che questa "Midnight in Paris" mi ha ricordato "La Rosa purpurea del Cairo", film che all'epoca trovai molto pirandelliano.



"Midnight in Paris" è molto surreale, magrittiano direi e sprigiona magia anche se sicuramente non è uno dei film più riusciti del regista. Allen si distingue come al solito per il rompere gli schemi di qualsiasi genere: la protagonista femminile definita più volte sexy da suo marito è molto in controtendenza coi canoni di bellezza in voga e la Premiere dame Carlà è solo poco più di un cammeo.

lunedì 28 novembre 2011

Happy go lucky - La felicità porta fortuna

Dopo averlo cercato per due anni finalmente entro in possesso di questo dvd proprio appena ero riuscita a farmi una ragione di questa curiosità repressa. Come spesso succede nella vita, mentre il mio sguardo vagava senza una meta specifica lungo le scaffalature dei film della Salaborsa ecco che questo corto titolo inglese mi balza agli occhi. Son quei momenti che ricominci a sperare che non tutti i desideri insoddisfatti abbiamo come unico inevitabile passaggio successivo quello di cadere nel buco nero della rimozione. Per questo a volte bisogna dare una seconda chance ai luoghi che non si frequenta più. Già perchè sabato la videoteca della Salaborsa è stata nettamente rivalutata nel mio immaginario. La avevo bollata un paio d'anni fa quando ero ancora borderline tra università ed inoccupazione. Vi trovavo solo B movies improponibili. Invece adesso non è così. C'è una gran varietà di titoli in più, di film anche molto di punta come lo è stato appunto "Happy go lucky".Dopo questo preambolo pseudo-tornatoriano sul malinconico andante arrivo al film. Mike Leigh è semplicemente un mito di microsezione del mondo comune della bassa borghesia inglese al limite con lo squallore. Ed in questo film lo dimostra. La protagonista è una insegnante svampita, piena di ideali e povera di soldi. Non c'è una trama forte, come del resto in tutti i film di Leigh. Quello che è forte è la scritturazione dei personaggi.

Ho visto questo film in inglese e ciò ha reso ancora di più l'autenticità dei ruoli giocati. In particolare trovo geniale il rapporto tra la protagonista e l'insegnante di guida nevrotico e frustrato. Un battibecco continuo che porta piano piano a svelare la vera identità dei due attori.

Ed questo film è proprio così: un'amabile eccellente amalgama di tante pennellate di una società semplice, in cui si condensano i sentimenti universali dell'uomo, le sue paure e le sue speranze.

domenica 20 novembre 2011

Scialla!




Non avevo mai sentito nominare il regista di "Scialla!", ma se fosse stata un'opera prima mi sarei veramente stupita. Si intravede un talento nella stesura della sceneggiatura ed in effetti Francesco Bruni ha scritto i dialoghi di molti film azzeccati degli ultimi anni (da "La matassa" a "La prima cosa bella"). In particolare il personaggio di Bentivoglio, padre che cerca di recuperare, anzi costruire da zero il rapporto con un figlio che scopre improvvisamente di avere avuto quindici anni prima da una storia naufragata o mai esistita. Complice è il fatto che questo genere di "Character" sembri cucito addosso all'attore, che riesce a cogliere tutte le tonalità e le sfumature di questo ruolo.

Nonostante alcune scivolate buoniste nella trama, il film è sostanzialmente credibile ed il rapport padre-figlio trasmette un grande senso di autenticità. Anche il ritmo con cui gli eventi si avvicendano sembra essere azzeccato ed il regista riesce a sfornare un prodotto originale nonostante la trama lo avrebbe potuto portare verso una facile pista demagogica.




Bar Sport


Se devo essere sincera di fronte ad un film che nasce senza trama (perchè lo è il libro di Benni a cui si ispira) temevo un risultato simile a quello de "Gli amici del bar Margherita" di Pupi Avati. I punti in comune erano, infatti, molti: per primi la location e il mood malinconico.

Il film di Massimo Martelli riesce, però a salvarsi dal ritratto patinato di un angolo di mondo che non c'è più. Indubbiamente il film è malinconico, ma riesce a salvarsi dal patetismo riuscendo a trasformare un oggetto ovvero una pasta (la Luisona) in un vero personaggio. Probabilmente è il protagonista meglio scritto del film ed il bello è che è l'unico a non avere battute!



martedì 1 novembre 2011

Quando la notte



Dal romanzo omonimo di Cristina Comencini nasce "Quando la notte", presentato a Venezia e fischiato dalla critica, ma apprezzato dal pubblico. Un alone di cupezza emerge già dalla locandina, ma quando entro in sala mi trovo di fronte ad una sorta di messa in scena della biografia di Anna Maria Franzoni, compreso lo scenario montano. Scimmiottando un pò "Shining" il film si regge soprattutto sull'interpretazione di Claudia Pandolfi e Filippo Timi, che riescono a sorreggere il film molto bene. L'epilogo è molto retorico e poco credibile, ci si sarebbe potuti fermare prima, anche vista la lunghezza della pellicola. Nel complesso è un film riuscito anche se poco originale.

martedì 18 ottobre 2011

This must be the place



Lo sguardo perso di Sean Penn, le lentine verdi, che gli regalano un colore di occhi così surreale, quei capelli colore nero Shock cotonati come un'enorme criniera: l'aspetto del protagonista è una eccellente sintesi di questo film. Sorentino sbarca in America con una storia più pretenziosa delle altre. Non racconta più una piccola storia, ma rappresenta la storia dell'America che si sta cercando, che sta cercando una sua nova identità. La trama non è nè originale, nè tipica del regista, ma la recitazione del protagonista ed alcuni accostamenti eccellenti come la fotografia intensa e dai contorni definiti e la sceneggiatura fatta di poche sarcastiche battute rendono il film veramente meritevole.

Il villaggio di cartone



Questo film è indiscutibilmente di Ermanno Olmi: lo è per la lentezza delle scene, lo è per l'atmosfera surreale e per la simbolicità della trama. Ciò che emerge è l'attenzione generale che la legge sull'immigrazione ha suscitato nel cinema italiano. Già nel film di Crialese "Terraferma", la questione morale sollevata dalle sanzioni date a chi aiuta gli immigrati diviene il centro della storia. Qui tale tema si incrocia con il ruolo della religione rispetto a questo problema. C'è una forte vena critica verso l'impassibilità della Chiesa, che diventa solo un contenitore vuoto di dogmi, sempre più svuotato dai valori che lo dovrebbero contraddistinguere.

La figura del sacrestano, così silenzioso, ma eloquente negli sguardi e nel linguaggio non verbale assomiglia molto a quella del Papa di Habemus Papam. Il film di Olmi riassume dunque alcune delle tematiche più a cuore del cinema contemporaneo italiano, ma il suo stile trasmette sempre una malinconia da far sembrare remoto anche il tema più attuale.

sabato 15 ottobre 2011

Viva Zapatero


Nel 2005 ricordo di essermi persa questo lungimirante documentario, la cui visione è in realtà illuminante se si pensa ai successivi Draquila e Silvio Forever. La Guzzanti si può infatti affermare che lanci un genere tutto suo: una sorta di documentario realistico e sarcastico al contempo, una reinterpretazione vulcanica e agghiacciante del documentario.

Con Viva Zapatero la Guzzanti vuole riscattare il boicottaggio della sua trasmissione televisiva "Raiot" e forse è proprio questo l'unico grande limite di questo film: l'egocentrismo narrativo che affligge la protagonista narratrice inquina un pò troppo il suo racconto. In sostanza commette la stessa pecca che accusa negli altri: di concentrarsi troppo sugli affari propri.

A parte questo Viva Zapatero è vulcanico, creativo ed irriverente.

domenica 9 ottobre 2011

L'amore che resta



Entro in sala consapevole della tristezza immensa della trama, ma convinta che la regia di Van Sant farà da gaanzia. In realtà ciò che vedo non è sicuramente il prodotto più patetico che potrebbe venir fuori da una storia del genere, ma non riesce comunque a comunicare nulla di nuovo. Sembra che la buona volontà del regista di ricreare una rappresentazione alternativa non riesca a dare un risultato di grande qualità. Nonostante gli attori protagonisti diano una interpetazione eterea e pulita, secondo me non è molto credibile proprio il modo tranquillo in cui i due vivono questo dramma. Pur rimanendo di alto livello la performance dei protagonisti, resta una trama molto irreale.

sabato 8 ottobre 2011

La pelle che abito


Chi osa sostenere che questo film di Almodovar sia meno almodovariano di altri scagli la prima pietra. Mi meraviglio che persino autorevoli critici abbiano affermato una tal leggerezza, in quanto "La pelle che abito" è solo in apparenza una narrazione differente. A me è sembrato, invece, un film assolutamente di Almodovar: il tema del possesso fisico e mentale, che imperversa nel film ricorda molto "Parla con lei" e persino l'attrice scelta come protagonista assomiglia molto a Penelope Cruz. E poi quell'inconfondibile modo estremo di rappresentare la vita: sempre vivacemente assurda e catastrofica. Era da tanto che non provavo il piacere di entrare in una sala e vedere dispiegarsi intrighi narrativi talmente aggrovigliati da non essere capace dopo mezz'ora di ricordare la storia dei personaggi. Trovo questo incantevole, perchè per me è proprio ciò che Almodovar vuole: spiazzare. La scena in cui Barderas dice al violentatore di sua figlia di avergli inflitto una vaginoplastica è una rappresentazione grottescamente drammatica del dolore di questo padre, una sorta di occhio per occhio e dente per dente, una vendetta dichiarata in una scena inconfondibilmente geniale.

Quello che penso è...chi non vorrebbe una vita almodovariana? Chi non vorrebbe una vita intensa e vissuta, con le sofferenze che generano gioie, e le più grandi ferite che smettono di sanguinare. Chi non vorrebbe avere la forza di raccontare le peggiori sofferenze con l'aria di sufficienza delle sue attrici feticcio, prima tra tutte Marisa Paredes?

Per questo Pedro è uno dei miei registi preferiti: perchè riesce a rappresentare assieme la vita che si vorrebbe con quella che non si vorrebbe, senza che le due cose stonino tra loro.

mercoledì 5 ottobre 2011

A dangerous method



La vera trappola di questo film, ciò che ha attirato così tanto l'attenzione del pubblico non è tanto il visino angelico della Knightley, nè la conturbante trama, ma il fatto che a volerne dare una propria versione è il regista che nessuno avrebbe mai immaginato si avvicinasse ad un plot del genere, il re del macabro: David Cronenberg. Dopo film come Crash, Spider e La mosca, Cronenberg si lancia in una storia d'amore piena di luoghi comuni e secondo me la trappola è proprio nel fatto che lo spettatore si rende conto che inequivocabilmente il connubio regista-trama non avviene mai. Lo so che è una affermazione alquanto lapidaria, ma Cronenberg di fatto applica il suo stile inconfondibile ad una storia assolutamente fuori luogo rispetto a tale registro comunicativo. Ne vengono fuori scene insensatamente surreali.

A parte questo i soggetti dei personaggi sono scritturati in maniera grossolana, primo di tutti quello della protagonista Sabina Splielrein, la cui evoluzione verso la guarigione è veramente solo abbozzata.

giovedì 29 settembre 2011

Carnage



Carnage prende tutta la mediocrità della società contemporanea, la butta in un appartamento qualunque di New York e la centrifuga in maniera razionalizzata sugli spettatori. L'effetto è quello di una sorta di spettacolo pirotecnico in cui c'è un continuo gioco di ruoli, i valori si sgretolano dando spettacolo della loro inconsistenza. Il personaggio di Kate Winslet assomiglia molto a quello da lei interpretato in "Revolutionary Road" ed il film in sè e per sè ha un che di alleniano soprattutto nei dialoghi molto teatrali e nelle scene grottesche. Ammirevole il dono di sintesi grazie al quale il regista riesce a comprire in 75 minuti l'implosione della società odierna.

venerdì 23 settembre 2011

Terraferma



Dove si dirige la barca che solca il mare della Sicilia nella scena finale del film? Più nello specifico cosa passa per la testa di Filippo, il rabbioso ragazzo siciliano dai contrastanti sentimenti verso gli immigrati clandestini? Per poter immaginare una possibile destinazione bisogna considerare un'altra infromazione molto importante: con lui c'è anche una neo madre con il suo neonato, clandestina ovviamente. Filippo è vittima e carnefice di una condizione abbastanza diffusa in Sicilia con l'attuale legge sull'emigrazione: seguire l'innato spirito umano o discolparsi interiorizzando il proverbio "mors tua vita mea"? Qualsiasi delle due piste implica delle responsabilità in termini di sensi di colpa da un lato e penali dall'altro. Entrambe sono talmente ben esplorate da Crialese che riesce a mantenere i sentimenti di questo ragazzo così realisticamente confusi tra i due opposti, che alla fine veramente il finale è aperto.



Mi soffermo su questo aspetto del film, tralasciando di elogiare la fotografia piuttosto che l'impatto visivo di alcune scene perchè confrontandomi fuori dalla sala con altre due persone mi sono ritrovata a notare come ciascuno abbia dato una prospettiva diversa a questo finale.



Probabilmente l'imprevedibilità del comportamento di Filippo rappresenta l'enigma del comportamento degli esseri umani che si trovano di fronte ai rischi cui una legge del genere li sottopone nel caso diano aiuto ad extracomunitari senza permesso di soggiorno.



Così l'enigma della scelta di Filippo diviene una dilemma sociale più che psicologico.



Un film veramente intenso, avvolgente e totalizzante nei sentimenti che evoca, così come per il mare che mostra.

mercoledì 14 settembre 2011

Ruggine



La ruggine è lo stato che intacca gli oggetti vecchi, una sorta di marcatempo che in realtà accompagna molti ricordi. Probabilmente è proprio il tempo il vero protagonista di questa pellicola: quello che confonde, offusca, ma non cancella. La confusione narrativa, che ho percepito all'inizio come un limite di questo film, in realtà rispecchia molto fedelmente lo stato d'animo che il regista vuole dominante in questa trama. La paura è, infatti, la vera protagonista di quest'opera e come tale non ha i contorni netti, ma è sfumata e confusa. La paura riempie la mente di immagini forti e sensazioni inspiegabili. La fotografia di questa pellicola aiuta a rendere questa sensazione, mentre il macchiettistico personaggio interpretato da Timi ben rappresenta il classico "Orco cattivo" di cui tutti i bambini hanno paura. La trama si perde tra vari flashback e lascia dilagare questo sentimento di innocenza, che deve affrontare un sentimento così travolgente.



"Ruggine" tratta un tema molto delicato riuscendo a non scadere mai in una rappresentazione banale, nonostante l'inconsistenza voluta della trama deve fare i conti con un ritmo molto lento.

venerdì 19 agosto 2011

Source code

"Source code" is a fantasy movie that strains a kind of fancy that during the last years has become quite trendy in this genre. As a matter of fact the power of cinema to modify the events of the past, using such a variety of Technological tricks as the source code of this movie, seems to have a very cathartic role on the spectator.

This effect is empowered if you watch the movie at the cinema, in a place in which the transference experience is boosted. "Source code" obsessively persists in this dynamic, presenting again the same situation acted by the parts in different ways, until the end of the movie. It could simply be said that the need to control is arisen through the Us people after the 11th of September, but probably the universal communicative power of this movie is expecially linked to the men's need to dream that their faults can be repaired. From this perspetive cinema becomes the only place in which you can redeem yourself from your own little failed targets and from the small and big "distructions" you feel responsible for.

Apart from the psychological interpretation of the movie, it's scenes are redundant and sometimes boring. Obviousely the final release from the railway accident scene has a hard symbolic value and well represents what happens in the human mind when the change is accepted.

lunedì 30 maggio 2011

Corpo Celeste

Presentato al Festival di Cannes, "Corpo Celeste" è il primo film della regista Alice Rohrwacher, sorella della nota attrice. Dalla fotografia intensa e dai colori cupi, il film narra la repressione culturale e sociale che la religione o meglio la Chiesa può assumere in un paese retrogrado della Calabria. Rendendo manifesto l'anacronismo del potere di una educazione bigotta, la pellicola zooma sul personaggio di Marta, trasferitasi da piccola in questa terra dalla Svizzera. Il suo sguardo è il contraltare di una rappresentazione corale, in cui Marta sembra quasi una spettatrice esterna. Marta osserva, subisce, reagisce, si ribella. Nel frattempo la società sembra scollata da lei, tutto sembra progressivamente così grottesco. La scena semi-kubrickiana del Cristo montato sul portapacchi di una macchina che attraversa incerta le curve montuose a ridosso sul mare è di una poesia sconfinata. La bellezza estetica di questa ed altre scene riesce a colmare le lentezze di alcuni passaggi. Ad ogni modo vulcanica la comunicatività della nostra nuova regista.

venerdì 13 maggio 2011

Source code


"Source code" è un film fantascientifico che ricalca una fantasia molto in voga nei film di genere degli ultimi anni. Sembra che, infatti, il potere di modificare gli eventi a ritroso tramite i più svariati escamotage tecnologici ed informatici, come il source code di questo caso, riesca ad avere un potere molto catartico sullo spettatore. Tale effetto risulta potenziato dalla visione del film al cinema, luogo in cui l'esperienza transferale è molto più incoraggiata. "Source code" persevera ossessivamente in questa dinamica, riproponendo la stessa situazione riagita dal protagonista per itre quarti del film. Si potrebbe semplicisticamente dire che l'esigenza di controllo è dopo l'11 Settembre molto sentita per gli americani, ma probabilmente il valore comunicativo universale di questo film è legato più che altro alla necessità degli uomini di sognare che i propri errori possano essere riparati. In quest'ottica il cinema diventa l'unico luogo in cui riscattarsi dei propri fallimenti e delle piccole e grandi "distruzioni" di cui ci si sente di essere stati responsabili. Interpretazione psicologica del potenziale del film a parte, la sua costruzione scenica risulta ridondante e a tratti stanca. Indubbiamente la liberazione finale dallo schema dell'incedente ferroviario ha un forte valore simbolico e rappresenta bene ciò che succede nella mente umana quando si accetta il cambiamento.

giovedì 5 maggio 2011

Malavoglia



Dove sono i Malavoglia all'alba del terzo millennio? Questo film parte dal presupposto che si tratti di una stirpe non solo genetica, ma anche di un fenomeno sociale, che implode nei confini del nostro mondo consumistico. I Malavoglia sono i relitti umani, vivono nelle terre abbandonate da Dio. Il regista siciliano Scimeca, che si era già cimentato nella trasposizione cinematografica di un altro romanzo di Verga, "Rosso Malpelo", trova una chiave di lettura originale della trama, riproponendo la sua traslazione ai giorni d'oggi. Tra sbarchi di clandestini, il dialetto siciliano più stretto, la cultura trash giovanile, scene volutamente scontate e grottesche, Scimeca ci propone un prodotto che ce la mette tutta per essere originale e togliersi di dosso l'ingombrante nome di Verga. La pellicola utilizzata ed il genere di riprese ricorda molto i documentari, come del resto l'incipit del film. Sicuramente molto coraggioso, fatica un pò nell'epilogo.

giovedì 28 aprile 2011

Sèraphine

Sèraphine è l'interessante parabola di una donna di servizio, umiliata come queste figure lo erano, ancora di più, nei primi del novecento, che diventa un'artista e scopre il suo talento nascosto. Fin qui il film sembra una riconoscibile lezioncina ben confezionata su come chiunque meriti di più di un degradante mestiere di cameriera. Eppure fin dal primo quadro che Sèraphine produce si annusa il sospetto che il film prenderà un'altra piega. Il fatto che l'artefatto insignito di cotanti elogi è un innocente e infantile disegno di fiori, getta lo spettatore in una dimensione di surrealtà. Si passa, così, da un triste realismo che dipinge la condizione sociale di questa donna, ad un crescendo di situazioni paradossali che conducono lo spettatore in una dimensione più vicina a quella sognata dalla protagonista, che non reale. Si nota sempre più lo scollamento tra la realtà in cui Sèraphine vive e le sue aspirazioni. La scena in cui la silenziosa protagonista realizza il suo sogno di comprare un vestito da sposa, senza che vi sia uno sposo reale, nè la fantasia di un'amore non corrisposto, rappresenta l'apice di questa ascesi verso la follia.

Il film è scenograficamente povero come semplice è lo scenario psichico che anima la protagonista. Le battute in bocca a Sèraphine si contano sulla punta delle dita e tutto si ancora alla sconvolgente interpretazione di Yolande Moreau, vincitrice per questa interpretazione al Festival di Cannes 2010.









mercoledì 27 aprile 2011

L'altra verità



Con "L'altra verità" ("Route Irish") Ken Loach non smentisce la sua fama di regista politicamente impegnato, ma rinuncia ad i suoi semidocumentari sulla politica interna inglese, per azzardare il suo primo giallo su quella estera. Nonostante il ritmo ogni tanto non sia così sostenuto per essere un giallo e nonostante vi siano un pò troppe elucubrazioni logiche rese mediante statici dialoghi, Ken Loach riesce a rifinire un prodotto che ha un suo perchè, pur distaccandosi dalla zona franca del docu-film a lui tanto caro. In realtà un lato documentaristico molto ben caratterizzato persiste anche in questa pellicola e ne potenzia la suspance. Ken Loach non dismette le vesti di regista di film denuncia. In questo caso nel mirino c'è la guerra in Iraq e l'invio di soldati inglesi in guerra. Con questa pellicola si scava nell'odio e nella perversione dei rapporti prima diplomatici e poi umani. Recitato con grande passione dagli interpreti principali, in particolare dall'attore che riveste il ruolo del miglior amico del protagonista, Fergus (Mark Womack), non manca di un finale coraggioso.

mercoledì 20 aprile 2011

Habemus Papam



"Habemus Papam" è uno di quei film che non mi ero assolutamente riuscita a prefigurare. Probabilmente perchè, nonostante se ne parli già da tanto, non riuscivo proprio ad immaginare come Nanni Moretti avrebbe potuto affrontare il tema della fede, vista la sua conclamata laicità. La risposta a questa domanda è semplicemente che "Habemus Papam" non è un film sulla fede, bensì sulla responsabilità. Il Papa è provocatoriamente e soprattutto laicamente visto come uomo nelle sue debolezze e nei suoi limiti. Tirando in ballo la più alta carica del Vaticano, Moretti vuole provocatoriamente sottolineare che anche i membri della Chiesa sono in fondo esseri umani. Eppure il messaggio che egli lancia si spinge molto più al di là di questo. Essendo il Papa una persona come tutti, è vittima come gran parte della società contemporanea, delle aspettative del contesto sociale. Oggi la performance è diventato un aspetto cruciale e sfidante persino per la carica che più di tutte rappresenta la spiritualità. Moretti si ritaglia un ruolo di sfondo, una sorta di voce narrante, non riuscendo a rinunciare ai suoi adorati monologhi dietro le quinte. In questo film è proprio il suo personaggio, a mio parere ad essere fuori luogo. Tutto sarebbe stato ugualmente equilibrato e credibile e forse anche un pò più sentito e meno razionale, se non ci fossero stati questi singhiozzi di discorsi, in cui peraltro vengono tirati in ballo sempre i soliti argomenti. La trovata del torneo di pallavolo è ben riuscita, ma scimmiotta un pò troppo le scene di pallanuoto di "Palombella Rossa".

lunedì 18 aprile 2011

Se sei così, ti dico si



Entro in sala e non appena vedo le prime inquadrature realizzo di essermi infognata in uno pseudocinepanettone. Già la presenza nel cast di Belen Rodriguez, in un ruolo da protagonista addirittura, provoca in me un crollo delle aspettative fin dalla comparsa del suo nome nei titoli di coda. Da quel momento presagisco il disastro e mi rimprovero di non leggere mai bene le locandine prima di inoltrarmi in una sala. Poste queste premesse, il film si dimostra perfettamente allineato con le medesime. La trama di per sè non è così destrutturata come nei cinepanettoni doc. Potrebbe avere un suo perchè se venisse raccontata senza uno sfarzo di nudità così volgare. Purtoppo il regista di "Volevo solo dormirle addosso", con questo film malinconico e un pò vintage perde colpi sotto ogni punto di vista: la sceneggiatura ritrae personaggi improponibilmente irreali perchè ridotti a macchietta, la scenografia è ridicola e veramente poco credibile. Non basta sbattere il mare in primo piano per coprire tutte le scene costruite male. Peccato per Emilio Solfrizzi, che si trova impelagato nel rappresentare un personaggio veramente al di sotto delle proprie capacità.


giovedì 14 aprile 2011

Lo stravagante mondo di Greenberg


Roger Greenberg è un Ben Stiller quarantenne, uscito da un manicomio e con l'esaltante progetto di vita di "non fare niente". Questo personaggio sembra molto in linea con il dibattito sui cosiddetti "leboskiani" di qualche settimana fa, all'interno del programma "Le invasioni barbariche" di Daria Bignardi... Con questo termine si indicano quegli uomini non più giovanissimi che non si danno un obiettivo, si accontentano di sopravvivere, bighellonando per casa senza alcu na aspettativa dal futuro se non quella di vegetare..

Ben Stiller mi ha stupito in questo ruolo, molto meno demenziale rispetto allo standard da lui interpretato, perchè riesce ad irradiare il film di una veridicità e di un realismo da me inattesi. Non si tratta della solita commedia, in questo caso il plot è molto più profondo e c'è una architettura nascosta molto più robusta. Quello che ci si propone di fare, senza troppa presunzione, è un'indagine di uno dei tanti prodotti della società moderna: il fannullone. Con un titolo la cui struttura sintattica echeggia il fortunato "Il famoso mondo di Amelie", "Lo stravagante mondo di Greenberg" riesce a mantenere il livello delle apsettative date da questo voluto paragone.

martedì 12 aprile 2011

Offside


Con "Offside", il già famoso regista de "Il cerchio", compone un lungometraggio illuminante sulla condizione della donna in Iran. Ben lontano dai ritmi da documentario, Jafar Panahi propone di fatto un film verità che a me ha ricordato molto l'americano "Quel pomeriggio di un giorno da cani". Se nel film del 1976, però, il gruppo sequestrato è in mano ad un bandito, qui il prendere quasi in ostaggio un gruppo di ragazze, che volevano assistere ad una partita di calcio, avviene per legge. Panahi con un film molto semplice, denso e lineare riesce a trovare una storia che più di ogni manifestazione riesce a denunciare uno stato di inumana discriminazione che le donne subiscono in quel Paese. Pur non essendo supportato da una scenografia accattivante, quasi tutto il film si svolge presso le mura dello stadio, Panahi riesce a magnetizzare lo spettatore mediante l'utilizzo di una simbologia semplice, ma non banale. Per le donne rimanere fuori dallo stadio è come rimanere fuori dal divertimento e dalla vita. Inoltre è interessante osservare come vengano messe a fuoco le singole dinamiche tra il gruppo delle ragazze ed i militari che hanno l'imposizione dall'alto di tenerle lontane dalla visione della partita di qualifica ai mondiali per l'Iran.

lunedì 11 aprile 2011

Good bye Mama



"Good bye Mama" è il film presentato alla scorsa edizione del Festival di Venezia grazie ai fondi italiani per il cinema, genrosamente erogati dal Ministro Bondi per incoraggiare l'anti-comunismo. La foto di Berlusconi troneggia in modo un pò troppo forzato su una scrivania messa a fuoco nel film, qualche secondo dopo gli si contrappone un video di Stalin. Il bene e il male? Sembra proprio che questa pellicola si costruisca su una storia di un pietismo vile, che incastona la visione del comunismo in una interpretazione polarizzata in cui buoni e cattivi sono bambinescamente separati, distinti e lontani. La trama è tratta da una storia vera: quella di una prostituta bulgara, ed in tempi di bunga bunga questa figura sembra acquisire una certa importanza nello scenario del nostro Paese. L'attrice che la interpreta è narcisisticamente anche regista e sceneggiatrice, insomma un pò come la filosofia del governo di Berlusconi: fà tutto lui.

Il personaggio di lei è di un' irrealtà ridicola, una specie di prototipo dell'inumanità, così come assolutamente non credibile è la casa di cura pubblica in cui la donna rinchiude la madre morente ammalata di Alzheimer. Sembra tutto di un semplicismo squallido. Complimenti Ministro!

domenica 10 aprile 2011

C'è chi dice no



"W l'Italia, l'Italia che lavora": questa frase, tratta dalla celebre canzone di De Gregori, mi è congeniale per sintetizzare la realtà sociale che il nostro Paese sta attraversando oggi. La drammaticità del problema, suffragata dalla sua portata, è tale da animare ormai le piazze, i reportage e diventa protagonista anche del cinema. Se la settima arte è uno specchio della società questo film è una sorta di outing plateale. Sembra che la situazione lavorativa sia oggi talmente drammatica da trovare forme di espressione in ogni rivolo disponibile: ogni forma di comunicazione resta coinvolta nel denunciare questo vergognoso stato. Bisogna in qualche modo trovare un contenitore a questa condizione del nostro Paese, giacchè essa non trova alcuna forma di contenimento nell'unico vero organo preposto ad affrontarlo: il Parlamento.

Questa premessa non ha in realtà solo un ruolo polemico, ma serve a dimostrare come questo film vada visto più di pancia che di testa. Certamente l'obiettivo del regista è più incentrato sul messaggio etico-sociale da mandare, che non sullo stile con cui lo si comunica. Fino a che punto si può lottare contro l'ingiustizia delle raccomandazioni camuffate come segnalazioni? Si può agire nell'illegalità per fare rispettare la giustizia? E poi soprattutto: legge e giustizia sono la stessa cosa? Sembra proprio di no da quel che emerge dallo script. Per il resto il film sembra mantenersi ad un livello comunicativo molto divulgativo: l'obiettivo sembra proprio quello di voler raggiungere il grande pubblico, se non altro proprio perchè il film riguarda quasi tutti gli spettatori attesi. La scelta del cast rientra in quest'ottica (dal gieffino Luca Argentero, a Paola Cortellesi, a Paolo Ruffini, attore nel prodotto popolare "Maschi contro femmine").

Seppur apprezzando la missione sociale di questa pellicola, ho trovato il ritmo e la sceneggiatura un pò singhiozzanti ed i personaggi un pò troppo tipizzati.

giovedì 7 aprile 2011

Non lasciarmi


Ambientato nell'Inghilterra del primo novecento, "Non lasciarmi" è un film costruito su una trama assurda in senso stretto, ma che in realtà si presta a molte realistiche interpretazioni. Una classe di bambini tra cui i tre amici protagonisti viene cresciuta in un college ed allevata in maniera isolata un pò come se fossero in un "Truman show". Il disegno superiore è nefasto e crudele: si scoprirà presto e loro scopriranno presto che sono dei cloni di esseri umani ed il loro destino è di essere uccisi per trampiantare gli organi in esseri umani veri. Una carrellata di furbesche citazioni cinematografiche vengono in mente assistendo a questa trama: Blade Runner in pole position.

La trama, se presa in sè e per sè, è solo una gran tristezza, ma può anche essere un buon pretesto per riflettere sulla violenza, sul senso della vita e per riflesso su quello della morte. Nonostante in genere non sia molto attratta da trame così poco realistiche, questo film mi ha molto intrigato anche se il ritmo talvolta è troppo lento. Perfetta Keira Knightley nel ruolo dell'amica gelosa/invidiosa, parte che le viene sempre congeniale (vedi "Espiazione", 2009), peccato che la traduzione italiana dei testi sia pessima.

lunedì 4 aprile 2011

La fine è il mio inizio


Nonostante abbia spesso sentito parlare di lui ed abbia visto spesso i suoi libri negli scaffali più in vista delle librerie più in, non ho mai letto un libro di Tiziano Terzani. Entro in sala ignara di ogni elemento che possa indirizzare la mia impressione. Questo film è, infatti, tratto dalla biografia postuma che Terzani ha dettato al figlio Folco, prima di morire di cancro. In genere è difficile che le aspettative di un libro siano appagate dalla resa cinematografica, anche se questo non è impossibile. In questo caso, pur non avendo letto il testo originario, sono rimasta sconvolta dalla sceneggiatura, così poco adattata alle modalità comunicative della settima arte. Non c'è di fatto alcuna rappresentazione dei vissuto di Terzani. Essi vengono narrati come se si fosse a teatro, senza utilizzare nemmeno uno degli espedienti cinematografici di cui il regista poteva disporre. Nessun flashback anima questa trama che sembra più che altro un dialogo teatrale. Nonostante il tutto sia supportato da una fotografia strepitosamente solare, che esprime a pieno la vitalità di Terzani, e da un cast d'eccezione (Bruno Ganz nei panni di Terzani padre, Elio Germano, nei panni del filgio Folco), tutto questo a mio parere non basta ad animare il film. Esso rimane più che altro un trattato meta-filosofico/esistenziale.

domenica 3 aprile 2011

Boris - Il film


La celebre serie televisiva "Boris" in onda su Sky Fox finalmente produce la sua molto attesa sintesi cinematografica. Sono mesi che guardo incuriosita il trailer di questa serie che di fatto non conosco molto approfonditamente. Ho solo visto alcune puntate delle multiple annate. L'impressione di partenza è di un prodotto televisivo delicato, intrigante, allegro, ma non volgare.

Entro in sala con attese un pò sopravvalutate, inoltre incrementate dalla mia passione verso il metacinema, ovvero il film nel film. Mi rincresce dire che Boris non riesce a superare lo scoglio più macro: il ritmo. In altre parole la trasposizione da televisiva a cinematografica perde colpi. Si sente nostalgia della serie televisiva, se non altro per quel lieve senso di suspence che invece nel film è totalmente innacquato.

Nonostante ciò la recitazione di Francesco Pannofino riesce a sorreggere abbastanza la trama, dimostrando uno stile incisivo e la presenza di una sceneggiatura scoppiettante garantisce comunque un certo ammontare di risate.

In seconda analisi trovo questo film una metafora avvincente del funzionamento interno di un'azienda: il suo doversi adeguare continuamente ai cambiamenti del contesto di riferimento, così come a quelli interni.

martedì 29 marzo 2011

Il marchese del grillo


In una serata di latenza televisiva di programmi cerebralmente utili, rispolvero dal mio pc un film che ha fatto storia o per lo meno s'è fatto notare. "Il marchese del grillo" è una pellicola che ai miei occhi di oggi è sembrata così lontano nel tempo, ovviamente non solo come scenografia, ma anche come genere di commedia. Non sembra, infatti, che siano passati solo trent'anni o, per dirla in un altro modo, che in questo tempo il cinema si sia potuto evolvere così tanto. Oggi Monicelli non c'è più, morto suicida a 95 anni, ma la sua mente ha prodotto delle vere lezioni di cinematografia come questa. Nonostante "Il marchese del grillo" sia un film che, come ho appena detto, appare subito datato, in realtà in esso si ritrovano le fondamenta della commedia italiana attuale, quella che sta cercando di farsi strada nonostante un confronto così difficile. Ad ogni modo credo che "Il marchese del grillo" non sarebbe quello che è se non fosse stato interpretato dal re della commedia all'italiana: Alberto Sordi. Vale la pena di vedere questa pellicola anche solo per alcune battute e quest'aria vivaiola e ridanciana del marchese non è altro che un'abile translitterazione dell' humor che Sordi esprime esplosivamente in ogni sua pellicola. Trovo che ad un primo approccio l'idea del film in costume possa apparire tronfia, ma poi si trasforma in un perfetto gioco e casca a pennello sul personaggio di Sordi. Non è facile non scrivere delle banalità quando ci si confronta con un film, con un regista e con un attore di questa portata, su cui sono stati gettati fiumi di inchiostro e digitati miliardi di tasti. La mia impressione nel rivederlo dopo tanti anni è di un rinnovato stupore.

sabato 26 marzo 2011

Silvio Forever


"Silvio Forever" è un documentario che si pone su un continuum con "Draquila". Sembra, infatti, che in questi ultimissimi due anni stia emergendo sempre più la necessità di reinventare un vecchissimo genere per uno scopo non più di informazione, ma di informazione controcorrente. In entrambi i casi per raggiungere il grande pubblico e soprattutto la distribuzione in sala si punta su una efficacia comunicativa diversa. L'ironia è alla base di tutto. Si stravolge, dunque, il registro comunicativo classico documentaristico, forse per rendere anche piu dissacranti i materiali che vengono tirati fuori.
Già perchè in "Silvio Forever" si tratta di un lavoro soprattutto di montaggio. Un'attenta analisi e poi sintesi di questo fenomeno sociale che è esploso negli anni '90. La vita del Presidente del Consiglio viene scandagliata fin dalla nascita, grazie anche all'abile voce narrante di Neri Marcorè, nei panni del Premier. Vediamo così una tristissima carrellata dell'ascesa al potere dell'uomo con più conflitti d'interesse d'Italia.
Ovviamente l'intento del documentario non è più solo quello di documentare, ma quello di aprire gli occhi e formulare, seppur nel modo più accorto e argomentato, un giudizio di valore. Il documentario nell'Italia di oggi assume, dunque, un ruolo diverso, per necessità.
In questa nuova veste ed autoattribuendosi questa nuova missione sociale, devo dire che il documentario "Silvio Forever" riesce a gonfie vele. Dal titolo, al montaggio, alla scelta delle interviste e delle dichiarazioni, tutto tende a fare emergere il personaggio più markettaro che l'Italia potesse conoscere. Un re Sole dei media, che finora, nonostante tutto, e riuscito a gestire le proprie contraddizioni.

giovedì 24 marzo 2011

Dylan Dog


Il fallimento dell'intento di questo film, rendere sul grande schermo il fascino del famoso personaggio di Tiziano Sclavi, credo che in parte possa non essere biasimato. L'impresa era, infatti, abbastanza titanica ed i linguaggi comunicativi utilizzati così agli antipodi. In particolare non era facile trasformare lo charme del bianco e nero in un film a colori ed ugualmente insensato sarebbe stato fare un film non a colori con un personaggio così poco demodè...

Seppur io non sia una grande conoscitrice del personaggio di Dylan Dog, avendo letto solo qualche suo fumetto, già nella scelta dell'attore ho cominciato a riservare forti dubbi. Appena ho visto Brandon Routh non ho avuto alcun sospetto che potesse essere lui il Dylan Dog del film. E' difficile che un personaggio per tanto solo immaginato possa essere consenzientemente riconosciuto dagli spettatori quando acquisisce vesti umane. Io in particolare me lo immaginavo più tenebroso, ambiguo, maledetto: una bellezza meno regolare e canonica.

A parte questi commenti di "incarnazione", il film non riesce a rendere assolutamente quel clima un pò grottesco, ma al contempo minaccioso del fumetto. La storia è molto banale e banalizzata nel senso che si potevano introdurre elementi di suspance in più senza puntare tutto sulla gara al mostro più grande e minaccioso. Non basta, infine, fare dire un paio di volte all'attore la celebre esclamazione"Giuda ballerino" per disegnargli addosso i caratteri del vero Dylan Dog, che rimane, a questo punto, indiscussamente quello disegnato da Tiziano Sclavi.

martedì 22 marzo 2011

Le stelle inquiete


Le stelle inquiete è un film che mi ha molto ricordato "Primo amore" di Matteo Garrone. Anche lì la trama era una analisi e proiezione sullo schermo dei meccanismi psichici che sottendono l'anoressia. La vera stella inquieta di questo film è la protagonista, una intellettuale francese vergine ed idealista, che rifiuta il cibo facendone l'emblema del benessere di una società. Partendo dal dato di fatto che questa trama si fonda su una storia vera, è interessante vedere come la sua rappresentazione si distingua per il tentativo di dare una parallela visione sociale del problema. Vi è dunque una duplice messa in scena della malattia: oltre che personale, collettiva e politica. Siamo nel '41 e la guerra in Francia oltre che la emergente ideologia comunista divengono i contenitori sociali in cui riversare questa nuova rappresentazione della malattia che diventa così una sorta di male comune. Proprio un limite ed una virtù di questo film sono il rimanere ancorati ad una visione un pò troppo astratta del problema, proponendo un film che ha poco i piedi per terra ed a tratti sembra assurdo o meglio isolato da come realmente gira il mondo. Proprio come la campagna in cui il film è ambientato.

domenica 20 marzo 2011

Beyond


Per chi ha visto e si è entusiasmato con la trilogia "Uomini che odiano le donne" non è facile affrontare la visione di Noomi Rapace in un ruolo diverso da quella della mitica Lisbeth Salander. Nonostante l'attrice svedese continui adi interpretare il ruolo di una donna dal vissuto misterioso e truce, ho vissuto personalmente come una sorta di tradimento il fatto che quel volto impersoni un altro ruolo. Questo è il controaltare che può accogliere gli attori che hanno interpretato egregiamente dei personaggi.
A parte questo, il film all'inizio sembra abbastanza pietoso nel ritrarre una situazione disperata ed il personaggio della Rapace sembra così poco indagato che tutto sembra ridursi ad una sagra della commiserazione. Il ritmo è anch'esso, fino alla prima ora, un pò singhiozzante. Nella seconda parte del film, invece, la regia si riscatta, rendendo la trama più "piena" e credibile ed anche i tempi migliorano. Resta, comunque, un film estremamente triste e questo sentimento che comunica non è ripagato da un equo talento registico.

sabato 19 marzo 2011

Sorelle mai


Questa pellicola è tipicamente di Bellocchio per alcuni aspetti visivi. Spicca, infatti, la cupezza delle immagini in cui le ombre giocano un ruolo da protagoniste. In questo caso, nonostante tale costante, sono comunque rimasta stupita dalle immagini. Più nello specifico è la loro definizione che mi ha colpita. In alcune scene, infatti, le immagini sono simili a quelle dei filmini dei nostri genitori che vengono tirati fuori nei convivi familiari. Sembrano sfocate ed i colori sbiaditi. Eppure nel film quelle scene si riferiscono ad anni correnti e non a cosiddetti "episodi della memoria". Non sono riuscita a farmi una ragione di questa modalità tecnica se non come un modo per dare un'atmosfera di maggiore intimità a questa storia.
Proprio la trama rappresenta poi un altro elemento anomalo. Già altre volte Bellocchio aveva proposto storie talmente intime e con così pochi personaggi coinvolti da sembrare senza uno sfondo, un panorama sociale, un pò come succede tipicamente nei film di Pupi Avati. In questo caso, però , oltre a questo, sembra esserci un intento più documentaristico che puramente narrativo. Sia le prime scene che la struttura stessa del film, scandita chiaramente in episodi temporalmente consecutivi, depistano inizialmente lo spettatore che crede di trovarsi di fronte ad una carrellata di dieci anni della nostra Italia.

Nonostante l'estrema lentezza della trama, l'enigmaticità degli effetti visivi, credo che la scena finale alquanto magrittiana rappresenti un vero tocco di classe per un film che non mi ha convinto fin dall'inizio.

martedì 15 marzo 2011

Carissima me


Spesso la bellissima, ma inespressiva Sophie Marceau si presta ad interpretare ruoli così piatti e molto caratterizzati in termini macchiettistici. In questo film recita in un modo veramente insipido, ma questo tutto sommato si intona bene con un film che si attiene ad un genere più che surreale assurdo. Sembra, infatti, che negli ultimi anni in Francia sembri addirittura segno di elevazione intellettuale proporre trame "vintage" in cui un malinconico per non dire disperato rimpianto della infanzia diviene pretesto di sceneggiature assurde. Il modello ispiratore è indubbiamente "Il favoloso mondo di Amelie" che ha aperto la pista di un filone tragico. Se la pellicola madre aveva un suo perchè ciò che ne è, a mio parere, scaturito è un genere veramente pietoso. "Carissima me" è un film che già dalla trama si presenta male: una donna in carriera solo lavoro si incontra con il suo passato quando riceve una busta con dentro una serie di lettere che da piccola aveva scritto alla sè stessa da adulta. Una tal storia si commenta da sè e si intuiscono fin dalla prima scena gli sviluppi finali. Tutto è così piatto. I personaggi sono poco credibili così come poco credibili sono i loro tratti che sembrano delineati proprio da un bambino per come sono stilizzati. Tutto va a rotoli, non c'è un elemento che funzioni. Solo 95 minuti di proiezione e la percezione che si ha è che si stiano sforando le 2 ore.

domenica 13 marzo 2011

I ragazzi stanno bene


"I ragazzi stanno bene" è il film che ha "mandato in overbooking" le sale dei cinema bolognesi in questo week-end di pioggia. In genere è facile riempire le sale in questa città del nord animata da gelide domeniche di nebbia. Eppure stavolta sono convinta che le sale sarebbero state comunque piene anche se fossimo stati in un week-end di esplosiva primavera. Ecco la parola giusta che cercavo: esplosivo. "I ragazzi stanno bene" è un film dotato di un vulcanico potere. E' la vita stessa che si esprime in tutte le sue forme; la prima e più importante è la libertà."I ragazzi stanno bene" racconta, infatti, la libertà di essere lesbiche e felici, di vivere questa condizione come un modo legittimo e normale di abitare la vita di coppia e i rapporti familiari in maniera libera. E' la libertà di avere una famiglia normale, con dei figli nati normalmente con la donazione di sperma. Ed in tutto questo il messaggio che arriva è che stanno tutti bene. I figli in particolare stanno bene. Vivono la loro adolescenza in maniera normale e la loro scoperta della sessualità non è per nulla problematica, ma espressione delle comuni perplessità e curiosità dei figli delle nuove generazioni.

Se questo film esprima un'utopia o una speranza o ancora una realtà non sono in grado di interpretarlo. Mi viene solo da commentare banalmente che lo tsunami Obama sia ancora in azione e susciti correnti di novità nell'aria degli US.

lunedì 7 marzo 2011

The fighter


"The fighter" è un film a dir poco deludente. Non sono una grande cultrice del genere, ma posso affermare con certezza che sia "The wrestler" che "Million dollar baby" erano riusciti a raccontare il mondo della boxe comunicando ben più consistenti emozioni. Ciò che mi meraviglia è che a livello di trama "The fighter" non è un film così sprovvisto di elementi interessanti: il rapporto tra i due fratelli poteva essere un pretesto molto meglio sfruttato. La trama scivola, invece, verso una rappresentazione piatta e banale, in cui ognuno recita la propria parte, senza alcun brivido accessorio. Tutto è così ben definito, ma al contempo piatto: la madre soffocante, il fratello fallito che vive attraverso il protagonista, la fidanzata semplice. Vedendo questo film mi sono resa conto di come non basta che il regista abbia chiaro in mente a che gioco deve giocare ciascun personaggio, perchè il film comunichi qualcosa.

Nonostante la presenza nel cast di Christian Bale, nemmeno la recitazione spicca. Tutto scorre in maniera estremamente lenta e prevedibile.

domenica 6 marzo 2011

Manuale d'amore 3

Da sempre nutro una sfegatata preferenza per il cinema italiano, che, per me, rappresenta un genere vero e proprio che non ha rivali nè in Europa, nè oltreoceano. La commedia all'italiana riesce a trasmettere una serenità ed un puro senso della bellezza che nemmeno il più riuscito film americano può eguagliare.

Partendo da queste premesse noto con grande rammarico come oggi il nostro cinema sia protagonista di una discesa vertiginosa nel livello di produzione. Manuale d'amore 3 ne è la prova. Non basta un titolo fortunato per fare un film altrettanto riuscito. Inoltre trovo che questa formula ad episodi sia ormai stata abbastanza cavalcata ed abusata da poter anche invocare una tregua. Manuale d'amore 3 è un film senza una idea originale che sia una. Nonostante il cast di stelle, che va a scomodare addirittura celebrità hollywoodiane del calibro di De Niro, il film vola d'un basso da rasentare lo schianto e la catastrofe totale. La sceneggiatura è ormai depauperata dall'usura: ormai non si sa più che cosa raccontare. Gli attori stessi sembrano addirittura annoiati e poco convinti. Persino il re della comicità italiana, Carlo Verdone seppur calato nel proprio personaggio che è poi quello che più gli è congeniale, annoia e non entusiasma come in genere è solito fare.

sabato 5 marzo 2011

La vita facile


Cosa c'è di più rilassante dopo una giornata di quotidiani pensieri e preoccupazioni di buttarsi su una comodissima poltrona a luci totalmente spente e pregustarsi un "Domenico Procacci presenta" comparire a caratteri cubitali sullo schermo?

Se poi come in questo caso la scenografia è da mozzafiato, ritraendo una Africa che tanto tranquillizzante non era mai apparsa, il gioco è fatto. Il quarantenne Stefano Accorsi festeggia il compleanno della maturità interpretando un medico senza frontiere dedito a cause umanitarie sublimi, che però nasconde nel passato un tradimento verso il suo miglior amico. La trama sorge sul tema umanitario e potrebbe morire anche lì tale è la bellezza dei luoghi, ma probabilmente l'aspetto estetico è solo un trampolino di lancio per fare decollare una storia molto più occidentale di quanto si creda. Il triangolo amoroso tra Vittoria Puccini, Accorsi e Favino è reso ancor più intrigante dal paragone con una dimensione di vita così distante dal mondo della "vita facile" della Roma bene. Valori sublimi e superficiali si intrecciano con maestria e la trama apparentemente piatta mostra di avere qualcosa da svelare di inatteso fino all'ultima scena.

venerdì 4 marzo 2011

Il gioiellino


"Il gioiellino" è un film cronaca che vuole raccontare la storia del crac della Parmalat. Il tono utilizzato è giornalistico: ci si limita a raccontare i fatti e non a raccontarli, lasciando tutto nel mistero. Quale migliore attore per narrare questa situazione ambigua ed indecifrabile se non Toni Servillo? Il ragioniere che egli interpreta è, infatti, probabilmente l'unico che "sa" e che spera fino all'ultimo che le cose possano ancora rimettersi in sesto, perlomeno nella apparenza.

La storia della Parmalat prevede una forte importanza della immagine di facciata, tanto da pensare di poter sostituire la menzogna con la realtà. Il film è, inoltre pervaso da un forte oscurità nelle scene e la mancanza della luce è proprio emblematica della situazione in cui versa la società.

"Il gioiellino" è dello stesso regista de "La ragazza del lago": probabilmente un pò meno televisivo di quest'ultima opera prima, ma in alcune scene ancora sembra esserci un tono ancora poco raffinatamente cinematografico.

giovedì 3 marzo 2011

127 ore


Dopo il claustrofobico "Buried", che ero riuscita ad evitare tramite un efficiente servizio di informazione preventiva, "127 ore" cavalca il filone delle tragedie solitarie. Stavolta, però, non mi ero fatta l'idea di una storia così disperata. Avevo colto solo il lato della storia che comunica libertà, cioè l'esplorazione solitaria dello Utah da parte di un alpinista americano: Aron Ralston. Non avevo, invece, compreso che il vero focus del film riguarda l'incidente del protagonista che lo mette a diretto contatto con l'idea realistica della propria morte. Aron cade in una rientranza profondissima ed il suo braccio rimane schiacciato e prigioniero di una roccia.

Prova a liberarsi da solo, ma la sua sola forza è insufficiente. Mette in atto le migliori strategie per sollevare il macigno. La propria calma e stabilità d'animo è enorme ed è il sentimento di maggior fascino che emerge dalla storia. Nessuo sa che Aron è lì e lui a questo ci pensa, così come pensa ai suoi genitori che non ha salutato prima di andare via, alla sua infanzia, ai propri ricordi di giovane ragazzo. Tutte queste immagini si alternano a razionalissimi pensieri su come uscire da quella situazione, finchè Aron, arrivato alla 127a ora, capisce che l'unico modo per uscire vivo di lì è tagliarsi il braccio.

L'attore candidato al premio Oscar è convincentissimo e la fotografia di ciò che vede ed immagina il protagonista è spettacolare. La libertà che comunicano gli ampi spazi cozza con lo stato del protagonista, che ormai è convinto di non uscire più da quel buco.

venerdì 25 febbraio 2011

Giallo


"Giallo" è l'ultimo lungometraggio di Dario Argento, girato in inglese nel 2009 e mai transitato dalle sale passando direttamente alla distribuzione home video. No sono una grande cultrice del regista italiano di horror più famoso, ma "Giallo" mi ha veramente disgustato. Mi è sembrato un film veramente malriuscito con una sceneggiatura piatta e banale: il solito serial killer che uccide donne avvenenti con tanto di scene splatter. E qui voglio aprire una parentesi sul questo genere di scene. Trovo infatti che l'uso di scene estremamente cruente sia giustificato e giustificabile solo in alcuni rari casi. Deve esserci, cioè, un crescendo di tensione che esplode nella scena cruenta. Il sangue deve essere catartico: una esplosione necessaria e logica. In "Giallo", secondo me lo spatter è usato come scorciatoia per attirare l'attenzione laddove la sceneggiatura late.

Un film inutile, scontato e senza una forte idea a sorreggerlo, che non riesce neppure a sfruttare la presenza nel cast di un grande attore come Adrien Brody.

giovedì 24 febbraio 2011

Il cigno nero


"Il cigno nero" è una congegnata rappresentazione in chiave estremamente contemporanea del famoso balletto "Il lago dei cigni", la cui prima messa in scena risale al 1877. Accompagnando pedissequamente proprio come in un ballo in coppia la trama de "Il lago dei cigni", il regista, Aronofsky, già noto per aver diretto "The Wrestler", sviscera ogni simbologia che si può nascondere dietro la fiaba tedesca, cogliendo lo spunto per fornire una fotografia "ad alta risoluzione" dei valori della società di oggi. L'apparenza, la bellezza, la perfezione, tutto ciò è rappresentato con immagini di una potenza suggestiva grandiosa.

Nina, eterna bambina soffocata da una opprimente madre superegoica, viene travolta dall' interpretazione del personaggio bifronte de "Il lago dei cigni", che diventa lo strumento di riscatto verso un'identità adulta, anche attraverso la riappropriazione della propria sessualità. Per fare questo dovrà attraversare tanti sentimenti, quali l'invidia, la competizione, la seduzione spudorata e manipolante dell'ambiguo maestro di danza, prima di ritrovare sè stessa. Aronofsky riesce a coniugare eccellentemente la purezza del prestesto narrativo con l'ambiguità e la violenza delle paure che Nina deve conoscere per andare avanti nel suo percorso. Il più grande merito di questo film è, infatti, riuscire a mantenere una coerenza espositiva ed una suggestione narrativa altissime pur mescolando in maniera estremamente realistica tutti quei sentimenti contrastanti che contraddistinguono ognuno di noi e che metaforicamente sono rappresentati dal cigno bianco e dal cigno nero. Se da un punto di vista di scritturazione dei personaggi, quello della madre di Nina appare un pò troppo stilizzato e macchiettistico, Aronofsky riesce furbescamente a farlo rientrare in una sua visione puramente polarizzata della realtà, autoassolvendosi fin dal principio.

In quanto alla recitazione della Portman, che si dice essere la favorita per il premio di miglior attrice protagonista agli Oscar di quest'anno, sinceramente l'ho trovata, nonostante tutto molto più convincente nel ruolo di cigno bianco, immacolato e ubbidiente, che nella sua evoluzione, pur credibile dal punto di vista della scritturazione del personaggio. Nonostante gli effetti visivi e l'evoluzione anche fisica della ballerina alla quale spuntano, assolutamente non in modo metaforico, le ali, la recitazione di Natalie Portman convince poco nel passaggio finale. Probabilmente ciò è dovuto ad un eccesso di zelo nel voler rappresentare una perfetta trasformazione realisticamente impossibile.

lunedì 21 febbraio 2011

Un gelido inverno


Candidato a 4 Premi Oscar e già vincitore del Gran Premio della Giuria U.S. Dramatic al Sundance Film Festival 2010, "Un gelido inverno" approda nelle sale italiane. Film drammatico ed al contempo thriller dalle pennellate splatter, l'opera della regista del cinema indipendente americano, Debra Granik, è come un macigno che si lega al piede dello spettatore trascinandolo sempre più giù. Esiste un vero fondo per l'angoscia? Ad ogni scena si pensa che non ce ne potrà essere una di più squallidamente disperata, violenta e disumanizzante. La durezza di ciò che si vede e si narra è amplificata dal fatto che a viverle è una ragazza di 17 anni, Ree. La recitazione dell'attice che interpreta questo ruolo, Jennifer Lawrence, è superbamente drammatica e dolce al contempo. Nel suo sguardo si ritrova sempre un velo di speranza anche nelle scene di maggiore drammaticità. La sceneggiatura non è molto articolata, ma scarna come tutto del resto nel film: dai costumi, ai luoghi, ai dialoghi...tutto deve essere espressione di una anoressia esistenziale tipica di quanto si ha il fiato appeso ad un filo. Per questo tutto è volutamente non ricercato. Le parole hanno poco peso perchè per alimentare il mistero sul quale si sorregge disperatamente tutta la trama i silenzi valgono molto di più delle parole.

domenica 20 febbraio 2011

Il Grinta


La lingua italiana contempla varie espressioni per indicare quella reazione emotiva che una scena di un film può generare nello spettatore e che genericamente si chiama "riso". Per scrivere una buona recensione su un film dei fratelli Coen ed in particolare "Il Grinta" bisognerebbe avere una buona cognizione dei vari rivoli in cui si perde questo concetto. E', infatti, proprio in una di queste foci o rientranze che si nasconde il tocco di classe e la firma d'autore che immancabilmente rende un film dei Coen solo ed esclusivamente partoribile da loro. Pur attraversando una molteplicità dei generi i Coen riescono a lasciare una traccia in ognuno di essi, a mescolarli tra loro senza essere mai di cattivo gusto o inopportuni. Fanno anzi dell'insensatezza proprio il punto di forza della loro unicità.

Dopo questa piccola introduzione necessaria va premesso che "Il Grinta" è un film da vedere al cinema. Va gustato nell'immensità dei campi deserti del Texas in cui si perdono eroi e criminali, sceriffi e malviventi. Non esistono i buoni e i cattivi. Se questo è un western è pur sempre "coenizzato" per cui non c'è più il John Wayne della versione originale, figura tutto d'un pezzo. Jeff Bridges raccoglie egregiamente il testimone donando al personaggio quella completezza di sfumature che lo rende attuale. I Coen hanno capito che la società di oggi non ha più bisogno di quegli eroi, i confini delle menti sono cambiati e la figura della quattordicenne Met emerge beffarda ed elegante.

Met rappresenta bene l'intraprendenza di chi non ha paura di scappare (vedi l'ipse dixit che apre il film), di chi crede nei propri valori e vuole farsi strada in un mondo in cui vige ancora, ahimè, la legge del più forte.

I Coen riescono come sempre a far incontrare truculenza delle scene e battute grottesche, come se volessero esorcizzare il male da loro stessi evocato. Al contempo nonostante la durata di quasi due ore, e la fissità scenografica imposta dal genere, il ritmo del film non perde colpi. Nessuna scena è data per scontata. Se un film western abbia ancora senso nel 2011 adesso lo sappiamo: se dietro la macchina da presa ci sono i due fratelli autori di capolavori come "Fargo" e "Non è un Paese per vecchi" la risposta è si.