lunedì 14 gennaio 2013

Molto forte, incredibilmente vicino


Dal brillante regista di film introspettivi quali “The Hours” e “The Reader- Ad alta voce”, con “Molto forte, incredibilmente vicino”, Stephen Daldry decide di raccontare uno spezzone di storia americana. Partendo dalla trama dell’omonimo romanzo di Jonathan Safran Foer (2005), il regista trova un perfetto parallelismo tra la tragedia dello storico attentato alle torri gemelle a la ricerca della propria storia e di quella del padre da parte del protagonista di nove anni Oskar Skell. Se la figura paterna è incarnata da un Tom Hanks ormai diventato icona dell’identità e dell’orgoglio americano, il ruolo del figlio è interpretato da un eccellente Thomas Horn.

Per fortuna e purtroppo non posso entrare nel merito della comparazione della versione letteraria con quella cinematografica. Sicuramente la storia ben si presta ad una sua scritturazione patetica e piatta, ma il regista riesce tutto sommato a tirarsi fuori dal patetismo quasi assicurato. L’escamotage per non cedere ad una storia banalmente strappalacrime è quello di interpretare il dramma del figlio alla ricerca di tracce che diano un senso alla vita ed alla morte del padre in una sorta di ricerca riflesasa di sé stessi. La figura del padre diviene così solo un deus ex machina per portare il ragazzino ad uscire dal recinto delle proprie patinate certezze, avventurandosi in una creativa, vivace ed intensa caccia al tesoro alla ricerca di sé e di un senso per la propria vita. In quest’ottica “Molto forte, incredibilmente vicino” non è altro che un trattato informale di psicologia di sviluppo. In proposito vien da dire che il ruolo della madre Sandra Bullock è da manuale. Il suo modo inatteso di comportarsi, monitorando l’avventura del figlio, pur senza invadere le sue scoperte nè controllare o giudicare, coincide proprio con quello che tecnicamente è il ruolo del genitore che accompagna senza proteggere. Anche la madre di Oskar ha bisogno di trovare un senso all’accaduto, come membro della famiglia, anche lei ha subito un lutto importante, ma quando avverte il malessere del figlio trova la forza di disassopirsi dal torpore depressivo in cui l’evento scioccante della morte del marito l’aveva piombata.  Capisce che Oskar ha bisogno dei propri spazi e li rispetta, ma al contempo lo difende dai pericoli. Riesce,m così, nel difficile intento di difendersi dalla propria ansia senza limitare il desiderio legittimo di riscatto di suo figlio. Fin dove può arrivare il figlio con l’aiuto della madre? In quale pericoli può incorrere se lei lo lascia totalmente artefice del proprio destino? Ricostruisce così anche lei la mappa del percorso che il figlio deve attraversare. Ne anticipa silenziosamente le mosse come un Messia che viene angelicamente dal cielo.       

Se alcune scene sono poco registicamente interpretate e risultano un buon compito in classe d’effetto, il risultato finale comunica una grande profondità che lascia dimenticare alcuni scivoloni tecnici.

venerdì 4 gennaio 2013

La migliore offerta

Non è assolutamente facile riassumere la costellazione di emozioni e pensieri che le due ore 4 minuti di "La migliore offerta" mi hanno scatenato. 
Oleografico nella descrizione della bellezza estetica, Tornatore rimane sobrio ed essenziale nel delineare i tratti dei personaggi principali. Tra tutti Geoffrey Rush la cui sagoma ciondolante nasconde il carattere maniacale di un collezionista ipocondriaco di guanti che vive da sempre in un ossimorico stato di fama, dato dal proprio ruolo sociale, e di solitudine interiore. 
Battitore d'aste di pregio, il protagonista Oldman conosce Claire per la lavoro: una ragazza intrigante che soffre di agorafobia e piano piano i due si aprono reciprocamente.
L'aspetto scenico e fotografico è accurato ed in linea col tema trattato. Non si nasconde una forte malinconia molto simile a quella di "Novecento". Anche qui i protagonisti sono dei solisti che cantano il loro dolore.
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"La migliore offerta" è una grande storia d'amore e la apertura reciproca di due mondi. Geoffrey Rush recita questo ruolo in maniera più che convincente: sembra quasi essergli cucito addosso.
Le musiche di Morricone sono ormai una costante di alto livello, mentre il film riesce a non appesantirsi in un trattato ridondante sulla sulla bellezza, rimanendo una trama avvincente con picchi di alta emotività. La prima ora è l'unica parte a risultare trascinata.