lunedì 25 novembre 2013

Vita di Pi


"Vita di Pi" è un film la cui crudeltà e bellezza vanno a braccetto in un estatico e sconvolgente rapporto. La fotografia del mondo che Pi osserva dalla barca, che lo sta portando in una ignota direzione, domina la scena così come il fato dirotta e definisce la sua vita. 

Pi convive per tutto il tempo del film con una tigre dal nome antropomorfico di Richard Parker, l' animale più feroce della terra e l' intera pellicola non è che il dialogo silenzioso tra Pi e la belva.
La struttura narrativa non è quella di un vivere diretto, piuttosto il racconto a posteriori di quello che Pi ha dovuto attraversare nel suo viaggio mistico. La visione di questa storia per me è stata quasi fino alla fine assurdamente piatta. Non riuscivo proprio a capire perché dedicare tanto insensato tempo ad una convivenza così improbabile ed assurda come quella di un ragazzo con una tigre. 
Il finale del film ha riscattato dentro di me il senso intero di questa palese metafora che non riuscivo in alcun modo a decriptare. 
Tutto si svela in un semplice e crudele racconto di una scena breve ed intensa. Non è stato facile per me accettare la visione della realtà celata da quasi due ore di silenzi.
Seppur la mia mente sia stata impegnata per tutto quel tempo a trovare una spiegazione, quando la verità si è palesata ho avuto la medesima reazione psichica del protagonista. Ho preferito che il film rimanesse un racconto ridondante sulla solitudine, piuttosto che un difficile dialogo interiore. Già perché Pi e la tigre sono le due facce di un solo sé che lotta contro l' oceano dell' indefinitezza della vita, ma anche della crudezza della stessa.
Il regista è, dunque, riuscito a fare vivere a me spettatrice lo stesso shock del protagonista, riuscendo a cogliere gli aspetti essenziali della trama mistica dell' omonimo libro da cui è tratto.

Ang Lee si dimostra un genio della rappresentazione cinematografica, con questo film raggiunge livelli di simbolismo interpretativo alti e riesce a tenere le fila di una storia narrata in poche battute e rappresentata in quasi due ore.
Quando ho finito di vederlo mi sono portata dentro un grande senso di spiazzamento, che poi si è trasformato in orrore ed infine in amarezza. Con i giorni le immagini viste hanno insabbiato il ricordo della trama lasciandomi un grande senso di grandezza e potenza del pensiero umano e della sua speranza.

sabato 23 novembre 2013

Venere in pelliccia

Prima di riuscire a scrivere qualcosa di incisivo sul capolavoro "Venere in pelliccia", bisogna lasciare che il complesso script si sedimenti nelle ore dei giorni successivi. Una volta uscita dalla sala ho avuto la strana sensazione di un sovraffaticamento cognitivo e di una esaltazione emotiva. Solo un regista come Roman Polanski, autore di duelli verbali dello stesso calibro come quelli di "Carnage", poteva riuscire ad inchiodarmi sulla poltrona per quasi due ore, proiettandomi una sala teatrale buia con una scarna scenografia e facendomici tuffare con così tanto coinvolgimento.
Emmanuelle Seigner, moglie di Polanski, interpreta un'attrice camaleontica e dal ruolo camaleontico: già perchè in "Venere in pelliccia" tutto è doppio. Il doppio gioco tra recitazione e vita, il ribaltamento dei ruoli tra regista e attore, l'ossimoro tra complessità narrativa e fisicità del contenuto narrato. Tutto questo viene messo in scena con sensualità ed intellettualismo. Il film sul sessimo si ribalta continuamente, spiazzandomi  così come rimane spiazzato il protagonista della pellicola che è l'adattatore dell'opera narrata. A tratti la realtà del film si confonde con la piece dentro il film, interpretando al meglio il teatro pirandelliano. 
Polanski non è sicuramente il primo autore ad avere interpretato liberamente l'opera di Pirandello. Ricordo ad esempio "La rosa purpurea del Cairo" di un altro paroliere del cinema mondiale: Woody Allen. Andai a vedere quel film proprio quando stavo studiando il grande narratore siciliano al Liceo. 
Ciò che rende unico il film di Polanski è la capacità di mettere assieme livelli narrativi diversi e coniugare epoche e mondi culturali, visioni sociali e rappresentazioni psicologiche interiori, e poi ancora l'introspezione freudiana applicata al gioco degli attori, tirando in ballo non solo quelli che lo sono sulla scena, ma anche quelli che lo sono nella vita. L'equilibrio di coppia è interpretato in chiave ottocentesca e poi reinterpretato in chiave moderna, sino a diventare una fotografia ad alta definizione del rapporto amoroso postmoderno.
Il tutto è incorniciato in una parentesi di incipit- fine surreale e magrittiano.
Ecco cos'è stata per me questa Venere in pelliccia.
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lunedì 11 novembre 2013

Captain Phillips - Attacco in mare aperto

Captain Phillips è ua pellicola che racchiude tante storie. Lo si può vedere come un film sulle strategie di negoziazione: quelle difficili partite a scacchi che portano una parte ad avere la meglio sull' altra in una lenta trattativa. La nave può essere vista come un simbolo eloquente dell' america dell' 11 settembre: apparentemente inespugnabile, ma nei fatti così fragile. La notte del mare aperto è lo sfondo del destino oscuro di questa nave. Le scene sono claustrofobiche e vanno in perfetto parallelo con l'angoscia trasmessa dal protagonista, nonostante la tensione psicologica sia tale da reggere la struttura narrativa statica. Tom Hanks è il coraggioso capitano che si immola come ostaggio per salvare il suo equipaggio. Il film è pieno di primi piani che mettono al centro della scena la resilienza e l' equilibrio mentale del forte Capitano Rich. Come in "Cast away", "The terminal" e "Apollo 13", Hanks si rende massimo interprete della difficile parte di un uomo che va incontro ad un destino triste e minaccioso e lo fa con dignità e coraggio. "Captain Phillips" racconta la speranza, la calma, il travaglio e l'intento di non perdere mai la propria dignità. L' angoscia provata dal protagonista si è diffusa in me spettatrice, facendomi uscire dalla sala frastornata. In questa lunga notte nel mare aperto non c' è un momento veramente catartico nemmeno sul finire della trama. Il profilo psicologico di Hanks è perfettamente delineato e la sua interpretazione merita la famosa statuetta del maggiordomo Oscar.