mercoledì 29 gennaio 2014

Nebraska

"Nebraska" non è solo il racconto del sogno americano, peraltro già rappresentato cinematograficamente da molteplici grandi registi. Nel vederlo ci ho letto il racconto della fragilità dell' uomo, un trattato sull' età avanzata, affrontato con un tono energico e grottesco. 
Il colore seppia della pellicola non prova lontanamente a scimmiottare il bianco e nero del grande cinema americano anni '50, ma sintetizza cromaticamente il senso del passato e dei ricordi. In questa scelta ho visto un tentativo di affrancarsi dal cinema dei fratelli Coen. Alcune sequenze mi hanno lasciato scorrere i pensieri verso scene grottesche degli autori del cinema indipendente. Del resto il Montana è il set geografico del celebre Fargo. La tonalità cromatica utilizzata dal regista mi ha gettata come spettatrice in una dimensione dalla densità emotiva completamente differente.
 Al di là di somiglianze dalla consistenza che non vale più di una iniziale percezione, Nebraska è un film vulcanicamente sceneggiato. Le dinamiche familiari sono affrontate nella loro drammaticità con quella leggerezza che solo la saggezza del tempo riesce ad imprimere nella gestione dei rapporti adulti.
Una famiglia si mette in viaggio verso il ritiro di un premio che farebbe svoltare la vita già vissuta dell' anziano ipotetico vincitore, interpretato in maniera intensa da Bruce Dern. Dietro l'assurdamente inutile desiderio del protagonista di comprare un furgoncino, nonostante non possa più legalmente guidare, ed un compressore, c' è la voglia di riscattare un futuro migliore per i propri figli. 

Qual è il vero valore di 1 milione di dollari? Oltre a tutto ciò Nebraska per me ha rappresentato un viaggio di riflessione interiore tra l' importanza della realizzazione personale, materiale, sociale e familiare. Il denaro si svela così gradualmente come artefatto sociale, un jolly che si associa a tanti sentimenti, progetti e speranze, oltre al controverso tema del potere.

Al di là di questo aspetto, Nebraska è un film che mi ha trasmesso un forte senso della famiglia, di accettazione dei limiti altrui, laddove questo temine indica rispetto e non sopportazione.
Il film diretto da Alexander Payne ("A proposito di Schmidt", 2002) gioca al confine tra commedia e dramma, sovrapponendo un registro narrativo grottesco ad una trama dal forte potenziale drammatico.
Tutto l' intreccio è tessuto con accuratezza ed anche il difficile finale viene gestito con un ilare quanto realistico ribaltamento dei ruoli. 

martedì 28 gennaio 2014

Smoke


Rivedere "Smoke" a distanza di almeno diciassette anni da quando vi dedicai la mia prima timida recensione, è un viaggio estetico in quel panorama interiore di ricordi, fatto di immagini reali montate con scene da set.
"You are innocent when you dream" la frase della canzone che accompagna il miglior connubio tra cinema e letteratura risuona ancora dentro di me con quel tono graffiante e caldo, come un lamento di gioia. 
Per anni sono stata affascinata dalla raccolta di foto dI Auggie: tutte uguali, ma uniche. Per tanto tempo ci ho letto il senso del destino, legato all' immortalamento casuale di una persona che non c'è più. Oggi nella stessa ossessività fotografica vedo l'esortazione a non smettere mai di osservare. A lanciarci questa lezione è una delle figure professionali che fanno dell' osservazione la colonna portante della creazione scenica: il regista. Nulla è creato dal nulla, eccetto il nostro pianeta, almeno secondo alcune voci. Allo stesso modo la riflessione creativa nasce dall' osservare le impercettibili differenze: da ciò che è intangibile come un'opinione a ciò che si percepisce visivamente come l' angolo di mondo che Auggie immortala ogni mattina alle ore 8. 
Concedendomi una deriva personale posso affermare che finalmente ho capito perché la mia Prof. di Filosofia, nei miei trascorsi liceali, mi esortava a non tentare fantomatiche similitudini tra Hegel e Kant. Ognuno dà il proprio contributo al mondo grazie alla propria unicità ed irripetibilità.
"Smoke" è una lirica della quotidianità, ma rivedendolo ci ho scorto anche molta retorica narrativa ed espressiva nel tentativo di porre in parallelo due forme opposte di rappresentazione: filmica e letterarIa, peccando a volte di un tono troppo didascalico.
Al di là di questo il racconto di Natale di Paul Auster, cinematograficamente narrato dal mito del cinema americano indipendente Harvey Keitel, è una poesia in prosa. Ricordo di averlo sbobinato, se si può usare questo termine, quando ancora c' era il vhs e dovevo cliccare su rewind quando mi perdevo qualche parola. Una maniacale ricerca estetica devo ammettere che mi ha sempre pervaso. Oggi non so dove sia finito quel foglio, so che quando ieri ho sentito Harvey iniziare a pronunciare il racconto, una sorta di "play" è partito nel nastro della mia memoria.

mercoledì 15 gennaio 2014

American Hustle - L'apparenza inganna


La truffa americana di "American Hustle" spiazza e coinvolge. Affilata ne è la sceneggiatura, dai dialoghi ricercati e dalle metafore azzeccate. David O.Russell, regista di film riusciti come "Il lato positivo" orchestra e ritma la trama con un' ironia ben dosata, che non sconfina mai nel grottesco, distinguendosi così da alcune pellicole dei fratelli Coen. Il cast è ricco di star dalle performance di livello elevato. Christian Bale è fisicamente simile ad un "Grande Lebowsky" privo di autoironia. Le due interpreti femminili si dividono equamente la perfetta rappresentazione di due facce della figura della donna nella sua evoluzione contemporanea: sensualità e dinamismo misto a furbizia e sensualità sposata ad uno stereotipo femminile maschilista.
Il protagonista Bradley Cooper, che domina le scene del cinema americano attuale, interpreta il ruolo che meglio si sposa col suo stile espressivo: l'ordinary man che si trova ad adattarsi a diverse codifiche della realtà ed a rimettere, dunque, in discussione le proprie verità.
Il cameo di Robert De niro conferisce un ulteriore tocco di classe.
Nonostante qualche sbavatura nel doppiaggio italiano, American Hustle è un film autentico con degna rappresentazione del cinema indipendente americano.