martedì 28 gennaio 2014

Smoke


Rivedere "Smoke" a distanza di almeno diciassette anni da quando vi dedicai la mia prima timida recensione, è un viaggio estetico in quel panorama interiore di ricordi, fatto di immagini reali montate con scene da set.
"You are innocent when you dream" la frase della canzone che accompagna il miglior connubio tra cinema e letteratura risuona ancora dentro di me con quel tono graffiante e caldo, come un lamento di gioia. 
Per anni sono stata affascinata dalla raccolta di foto dI Auggie: tutte uguali, ma uniche. Per tanto tempo ci ho letto il senso del destino, legato all' immortalamento casuale di una persona che non c'è più. Oggi nella stessa ossessività fotografica vedo l'esortazione a non smettere mai di osservare. A lanciarci questa lezione è una delle figure professionali che fanno dell' osservazione la colonna portante della creazione scenica: il regista. Nulla è creato dal nulla, eccetto il nostro pianeta, almeno secondo alcune voci. Allo stesso modo la riflessione creativa nasce dall' osservare le impercettibili differenze: da ciò che è intangibile come un'opinione a ciò che si percepisce visivamente come l' angolo di mondo che Auggie immortala ogni mattina alle ore 8. 
Concedendomi una deriva personale posso affermare che finalmente ho capito perché la mia Prof. di Filosofia, nei miei trascorsi liceali, mi esortava a non tentare fantomatiche similitudini tra Hegel e Kant. Ognuno dà il proprio contributo al mondo grazie alla propria unicità ed irripetibilità.
"Smoke" è una lirica della quotidianità, ma rivedendolo ci ho scorto anche molta retorica narrativa ed espressiva nel tentativo di porre in parallelo due forme opposte di rappresentazione: filmica e letterarIa, peccando a volte di un tono troppo didascalico.
Al di là di questo il racconto di Natale di Paul Auster, cinematograficamente narrato dal mito del cinema americano indipendente Harvey Keitel, è una poesia in prosa. Ricordo di averlo sbobinato, se si può usare questo termine, quando ancora c' era il vhs e dovevo cliccare su rewind quando mi perdevo qualche parola. Una maniacale ricerca estetica devo ammettere che mi ha sempre pervaso. Oggi non so dove sia finito quel foglio, so che quando ieri ho sentito Harvey iniziare a pronunciare il racconto, una sorta di "play" è partito nel nastro della mia memoria.

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