lunedì 21 ottobre 2013

Kill your Darlings - Giovani Ribelli

"Kill your Darlings" letteralmente significa "uccidi i tuoi tesori", anche se in italiano il titolo è stato reso con il ben più piatto "Giovani Ribelli". 
Esercitando una dose di retorica non indifferente il titolo originale del film, diretto dall'esordiente John Krokidas, condensa in sé il senso dell' intera trama. Daniel Radcliffe, Ben Foster e Jack Huston  sono i tre protagonisti della pellicola, che racconta la genesi della creazione letteraria mediante la narrazione della vita di autori quali Allen Ginsberg, Jack Kerouac e William Burroughs, che hanno cambiato la storia della letteratura americana e non solo ed entrano a pieno titolo nella narrativa della Beat Generation.
 "Killi your Darlings " racconta in maniera retorica, ma mai dal tutto scontata, la ricerca dell' ispirazione artistica. Se, infatti, noti registi contemporanei affermano che per fare della scrittura un'arte bisogna viaggiare molto, quello di Allen, Kerouac e Burroughs è più che altro un viaggio interiore e socialmente condiviso nel mondo delle allucinazioni. 
La pellicola è facile a strumentazioni moralistiche, ma personalmente ciò che mi ha travolto sono stati i pensieri inerenti lo scenario in cui può vivere un'artista, che il film ha innescato. Il contesto sociale può essere ben lontano dal genere di romanzi che egli poi produce, così come ci possono essere netti parallelismi. 
"Kill your darlings" gode di una solida sceneggiatura e di un ritmo serrato rispetto allo standard dei film di questo genere. I personaggi sono al limite tra lo stereotipo e l'autenticità, ma si salvano grazie ad una trama che vira verso il noir senza perdere coerenza. 

domenica 13 ottobre 2013

Rush

Riuscire a beccare l'orario di programmazione per vedere "Rush" appare ormai ai miei occhi sfidante quanto le corse del film, quando in una frizzante serata d'autunno entro nella sala giusta all'orario corretto. Dopo aver atteso questo momento per una decina di giorni, le mie lievitate aspettative creano una cortina di ghiaccio, difficile da superare. Per i primi tre quarti d'ora del film la sensazione che domina dentro di me è di spiazzante disappunto. 
Nella strutturazione narrativa di un film la prima parte è dedicata alla "messa in solido" dei personaggi. A me sembra tuttavia che James Hunt e Niki Lauda siano messi a fuoco solo relativamente ad aspetti stereotipati e che non venga fuori l'essenza del loro carattere, ovvero la nitidezza del "da dove vengo" e "dove sto andando". Ron Howard, del resto, è un regista che si è sempre distinto per film d'azione, fatto salvo "A beautiful mind". 
Il primo tempo del film finisce col soffrire di una lentezza narrativa data dal gravitare attorno a personaggi sostanzialmente vuoti e difficili da "sentire" emotivamente. Ciò sembra essere davvero un paradosso visto che l'obiettivo centrale del film è proprio il continuo parallelo tra l'uno e l'altro pilota.
Quando si spengono le luci in sala ed inizia il secondo tempo, ho il presentimento che le regole sulla strutturazione narrativa dei personaggi non siano così assolute. In " Rush", infatti, succede qualcosa che non avevo mai osservato in un film: i personaggi acquisiscono profondità nell'agire, ovvero nella parte della pellicola che in genere coincide con lo sviluppo della storia. In breve: evoluzione della trama e strutturazione dei personaggi vanno di pari passo, fino a sovrapporsi.
Nonostante la recitazione dell'attore Daniel Bruhl (Niki Lauda) non mi entusiasmi, la storia del pilota di Formula 1 mi spiazza e travolge con una serie di riflessioni che si diramano nei miei pensieri prendendo strade singolarmente distinte. 
Da un lato c'è la storia di una carriera vincente, che diventa tale passando attraverso una grave crisi, che mette a dura prova il carattere del pilota Niki Lauda, contro la piattezza della vita sregolata, ma tutto sommato prevedibile di Hunt. 
Un altro rivolo di pensieri va al valore intrinseco dello sport stesso, sul quale finora non mi sono mai fermata a riflettere. Quando esco dal cinema, concludo che correre a quella velocità, affrontando ogni volta un rischio mortale è una religione rivestita con una tuta ed un casco, piuttosto che uno sport profondamente privo di etica.
Esulando dall'aspetto sportivo e competitivo in sè, "Rush" è anche una grandiosa riflessione sul senso del limite che ognuno si porta dentro, attraversando il prezzo della vita e della morte, della vittoria e della sconfitta, binomi che si intrecciano continuamente nel film.
Non per ultimo c'è il rapporto tra due piloti, le cui vite scorrono parallele e si definiscono sempre meglio nelle loro peculiarità distintive, man mano che la trama avanza. 
Anche solo per uno di questi rivoli di pensieri, "Rush" merita di essere visto.


giovedì 10 ottobre 2013

La stada

La prima volta che ho visto "La strada" non ero ancora un' adolescente. Ne ricordo solo la figura burlesca di Giulietta Masina ed il colore bianco e nero della pellicola. A distanza di quasi 18 anni, entusiasmata dal documentario "Che strano chiamarsi Fellini", decido di rivederlo. Il personaggio principale di Giulietta Masina spicca con eleganza e maestria sul grigiore neorealista del mondo che la circonda. Nonostante la sua indole semplice e credulona, non rimane vittima della sofferenza che lei stessa sopporta e comunica, riuscendo a rimanere ancorata ad un mondo alimentato dalle sue speranze e fantasie. La strada è il suo ring in cui combatte, come tante persone durante il
dopoguerra, per la sua stessa sopravvivenza. La strada è un film forte e profondamente triste, ma di quel tono di tristezza artisticamente reso in maniera talmente credibile ed al contempo relativo, da raggiungere la perfezione estetica della rappresentazione.

venerdì 4 ottobre 2013

Gravity

Codici, nomi impronunciabili, linguaggio strettamente tecnico: entro in sala aspettandomi tutto questo, ma qualcosa mi suggerisce che non sarà proprio così. Con questo presentimento decido di andare a vedere "Gravity": un genere che altrimenti non mi avrebbe rapito.
Il mio sesto senso trova conferma empirica in una qualità di immagini in 3D capace di trasmettere l'immensità della vita e di ciò che va oltre quella caverna di Platone, quell' uovo prossemico chiamato Terra. Al di fuori di questa sfera colorata di tante tonalità di blu, marrone e verde, si staglia l'infinito. 
Fino a poco tempo fa avrei ascoltato solo la voce della ragione, che avrebbe portato a pensare che alcune scene del film sono poco credibili o scontate: l'abbandono del "grillo parlante" Clooney nello spazio, la selezione di una astronauta così umanamente fragile ed insicura come Sandra Bullock. In una umida serata d'autunno, invece il cuore mi trascina a credere fino in fondo a questa gigantesca metafora della vita. 
Quanti schemi ci condizionano nella nostra caverna di Platone quotidiana? La prima è una legge fisica: quella della gravità, poi vengono tutte le nostre paure, la nostra voglia di vivere e quella di mollare tutto che lottano quotidianamente contendendosi sul filo di lana la vittoria del potere d'azione.
La Bullock raggiunge la maturità attoriale interpretando un ruolo altamente drammatico e profondo, senza poter contare sul potere della fisicità, essendo in tuta da cosmonauta per tutto il film, riuscendo tuttavia a trasmettere tutta la fragilità dell'uomo di oggi, in un'ora e mezza di scena quasi completamente dominata da lei.
Non più soggetta alla legge di gravità, rimane vittima delle sue paure e di fronte ad una missione di cui è la palese unica superstite, lotta per contrastare la voglia di raggiungere la sua unica figlia in cielo.
Crisi di panico, paura di non essere all'altezza, che l'ossigeno finisca e che non ci sia nessuno laggiù sul globo terrestre a rispondere al suo segnale di aiuto "Huston alla cieca", voglia di staccare tutto ed aspettare che questo ultimo giorno si compia: tutto ciò rimbalza improvvisamente contro l'altro lato di sè che la richiama a combattere e quindi a vivere.
Un film forse furbo, ma universale, in grado di colpire il cuore di tutti, senza scadere nel patetismo, grazie ad una scritturazione del personaggio della Bullock, che sembra esserle cucito addosso. Una grande prova per Sandra Bullock, che denota una forte crescita professionale se si pensa alla ragazza acqua e sapone di "Un amore tutto suo", film che la aveva lanciata nel mondo di Hollywood nel '95.