mercoledì 29 settembre 2010

Il grande capo


"Il grande capo" che incombe sulla storia fin dal titolo, in realtà è una figura fantasma, che dall'alto del suo silenzio lascia spazio al rispecchiarsi di una serie di meccanismi tipici delle aziende in crisi. Rapporti tra colleghi, piccoli scandali, ricatti, paure di assorbimenti da parte di altre aziende, l'outsourcing che si confonde con improbabili altre terminologie. Quanti uomini oggi vedono la propria vita appesa ad una firma di un grande capo? E se quella presenza grafica su un altisonante foglio vacilla? L'angoscia di perdere il lavoro viene sublimata in questa storia, così improbabilmente larsoniana, attraverso una finzione ludica vera e propria. Un attore si infiltra in un'azienda, ingaggiato dalla stessa per fingersi il "grande capo" che nella realtà non esiste e diventare il deus ex machina di un maxilicenziamento. Grottesco e al contempo angosciante. Rappresenta una delle modalità moderne di mettere in scena il dramma dei lavoratori che stanno per diventare disoccupati.

lunedì 27 settembre 2010

La Passione


Dopo l'anteprima veneziana che mi aveva molto incuriosita, trovo "La Passione", finalmente nelle sale, un film molto ben confezionato, ma anche molto banalmente rappresentato. Nonostante la recitazione straordinaria dell'ormai sempre martirizzato Silvio Orlando e del sempre più emergente Giuseppe Battiston, la trama ha una sceneggiatura debole e sembra più che altro un montaggio randomizzato di una serie di battute riuscite. Il contributo di Corrado Guzzanti rimarca il tono surreale, rendendo per contrapposizione, ancora più realistica la disperazione del regista Dubois (Orlando).

sabato 25 settembre 2010

Inception


Ho sentito parlare molto bene di Inception dalla critica ed a due ore dalla mia uscita dalla sala, cerco ancora di trovare un particolare almeno che mi illuda di averci capito qualcosa. Pensavo di andare a vedere un nuovo "Shutter Island", ma "Inception" è molto più insensato, talmente tanto da diventare noioso nonostante le interminabili sparatorie e i crolli scenografici inverosimili dati da un tripudio di effetti speciali. Leonardo Di Caprio non brilla per la propria interpretazione. L'inconscio viene esplorato in maniera talmente tanto imprevedibile, senza seguire nemmeno una regola del funzionamento del mondo onirico, da farmi arrendere all'idea di poter trovare un barlume di filo logico. Shutter Island alla fine svela molto di più e comunque fornisce allo spettatore più spunti solidi su cui costruire un'ipotesi di realtà. Ciò non accade in "Inception".

domenica 19 settembre 2010

Niente paura


Niente paura ritrae l'Italia come collage di vissuti ed emozioni forti, ma anche contrastanti tra loro, in cui la Costituzione è un'ombra antica che tuona dall'alto con una voce astratta sempre più lontana , mentre a Terra regna il caos. La paura emerge come sentimento dominante degli italiani e la musica di Ligabue diviene la speranza per superare questa indefinita identità. Proprio le sue canzoni divengono lo stumento per accompagnare il fluire della memoria del nostro Paese ponendo al primo posto gli italiani. La politica è assente dalle immagini, anche se di fatto la figura di Ligabue rappresenta quella di un ideale leader, popolare, ma onesto che potrebbe raccogliere le energie latenti degli italiani riportandole in piazza e distogliendole dal Grande Fratello. Il pregio di questo documentario è di riuscire ad esprimere un proprio preciso pensiero senza schierarsi politicamente, ma al contempo coinvolgendo grazie ad un ritmo delle immagini serrato ed appassionante.

sabato 18 settembre 2010

Mangia prega ama


Raccogliendo nel modo più banalizzante possibile tutti i luoghi comuni della cultura italiana, indiana e balinese, questa pellicola racconta un vero e proprio mito del mondo americano di chi vive immerso nella vacuità dei riflettori. Il viaggio verso la spiritualità dell'India attraverso la conoscenza della povertà è un vero e proprio status symbol di chi vive pensando ogni giorno a quale marca indossare e quante calorie bruciare per essere piacente in base ai canoni imposti. Tutto questo percorso non è che un tentativo disperato di trovare quella fodamentale parte di sè stessi persa in qualche camerino. Il vero viaggio purtroppo e per fortuna non necessita però di sottoporsi a così consistenti fusi orari e il vuoto che comunica questa lentissima storia ne è la prova. Oltre che esprimere un mito che personalmente non condivido, questo film è anche girato con grande faciloneria, seguendo il manuale dei clichè americani. L'unico aspetto dell'effetto finale che si salva è la recitazione discreta della Roberts, anche se le sue labbra sono un tantino inverosimili. La presenza di Javier Bardem è veramente una pennellata finale per resuscitare una trama vuota, ma non giustifica il suo essere accostato in copertina alla figura della protagonista. L'importanza dei ruoli è troppo diversa e la locandina sembra quindi solo una gran furbata commerciale.

sabato 11 settembre 2010

The American


Quando George Clooney aderì alla kermesse di vip in visita a L'Aquila distrutta dichiarò che il suo piccolo contributo personale per aiutare la ricostruzione sarebbe stato costituito dal girare un thriller tra le macerie. Questo è il gossip che mi ha invogliato ad entrare nella sala in cui proiettano "The american". Se non fosse per questo spirito solidaristico tutto il resto è un flop. A partire da George Clooney in persona. La sua espressività sembra oramai così appiattita e stride molto con il successo e correlati gossip amorosi che vanno a nutrire il suo fascino. Non so dire, in realtà, se il nostro George sia mai stato davvero un bravo attore. Sta di fatto che, senza perdersi in troppe dietrologie, in "The american" il suo personaggio è interpetato in maniera così piatta ed impersonale: non c'è un solo momento in cui l'attore non smetta di essere sè stesso. Se poi si aggiunge: che la città in cui il film è ambientato non sembra così distrutta come L'Aquila, ed infatti è Sulmona; che la storia è talmente tanto misteriosa da privare lo spettatore di qualsiasi strumento per conoscere i personaggi ed affezionarvisi, non è difficile concludere che il film sia stato solo una trovata mediatica, ma veramente niente di più.

La solitudine dei numeri primi


Ho letto il libro di Paolo Giordano in un tetro inverno difficile della mia vita. Mi piaceva lo sguardo della ragazza in copertina. Ricordava vagamente quello di Jasmine Trinca. Lo ho comprato per questo. Ancora non era scoppiato il caso. Così come non era ancora scoppiato quando ho visto a 14 anni Titanic, al primo spettacolo delle ore 16. Quando lo ho letto mi ha colpito al cuore, probabilmente non troppo critico per via della nullità delle aspettative. Chi non si sente un numero primo, scagli, infatti la prima pietra. Tutti sentiamo, infatti, di essere unici e l'altra faccia di questa medaglia è il temere di non essere come gli altri. Mattia ha abbandonato la sorella che le era stata affidata dalla madre quando era bambino, e da allora non l'ha più ritrovata. Convive per tutta la sua infanzia, adolescenza, e vita adulta con questa consapevolezza. Alice per non tradire le aspettative del padre affronta sugli sci una terribile tormenta di neve e ne rimane storpiata nel corpo e ferita nell'anima. In quale vita umana non c'è mai stato almeno uno strappo?Un rimorso? Una ferita. Il fisico Giordano sa raccontare questa banalissima legge statistica nel modo più creativo ed originale possibile. Io credo che il suo successo sia stato del tutto meritato. Per questo non era per nulla facile aspettarsi una buona riuscita cinematografica. Non è facile raccontare quel genere di angosce mantenendo intatto il candore della giovinezza in cui sono vissute. Costanzo, inoltre, ha una predilezione per narrazioni un pò cupe ed ascetiche (vedi In memoria di me), ma in questo caso il tanto dibattuto "horror" messo al centro durante il Festival di Venezia riesce a tutelare l'autenticità dei sentimenti dei protagonisti. All'inizio i continui flash-back rendono un pò tortuoso seguire la pellicola, ma rendono in un secondo momento più intrigante la storia stessa, in quanto il punto focale è cronologicamente all'inizio della vita dei protagonisti e c'era il rischio di bruciarsi subito i passaggi migliori della trama. In quanto alle atmosfere cupe non mi sono sembrate eccessive, ma funzionali al racconto di una sofferenza che c'è, ma che non rimane un qualcosa di alienante, ma fonte di unione e consolazione reciproca.

giovedì 9 settembre 2010

20 sigarette


20 è il numero di sigarette che fuma il protagonista durante il suo travaglio che la pellicola racconta. Nassirya 2003. La storia è quella autobiografica di un aiuto-regista (il regista del film nella realtà) che decide di avvenutrarsi in Iraq per un progetto cinematografico, fidandosi di chi dice che la guerra ormai è finita. La storia è tratta dal libro "20 sigarette a Nassirya" edito da Einaudi. La pellicola è stata inoltre oggi premiata dalla giuria presieduta da Mastandrea all'interno della sezione Controcampo durante il Festival del Cinema di Venezia. Dopo Green Zone, The Hurt Locker, Brothers, un contributo italiano per riflettere sull'insensatezza delle bombe e della guerra in Iraq. Violento, toccante, straziante, visivamente forte e montato in maniera serrata, restituisce il non senso della guerra emozionando fin da subito.

domenica 5 settembre 2010

Somewhere


Il mondo dello spettacolo raccontato nella sua vacuità nel modo più banale possibile. Un ritmo veramente scarso nonostante la pellicola duri nemmeno due ore. La recitazione del protagonista non è così convincente ed alcune sequenze sono molto lunghe tanto da sfiorare il grottesco, ma senza riuscire con questo a salvarsi. Non ero partita con grandi aspettative, perciò non era così facile deludermi e mi aspettavo un qualcosa di molto più oleografico. Invece non è questo genere di luoghi comuni che rovina la pellicola: non è il narrare l'Italia con gli occhi da turista, ma il rappresentare la vita dei grandi attori come terribilmente frivolo cavalcando molti stereotipi e rendendo il risultato finale veramente poco credibile e di scarso spessore.

sabato 4 settembre 2010

Happy few


"Tutti scopano con tutti finchè tutti si scocciano di scopare con tutti". Basta questa elementare descrizione della trama del film espressa da uno spettatore festivaliero appena uscito dal palabiennale, per riassumere la tara artistica di questa pellicola. Essa rientra, infatti, in quel buco nero in cui si annidano i film selezionati dalle giurie e che all'occhio perfino del più inesperto pubblico sembrano a dir poco impresentabili. Non c'è nulla di cinematografico in questa pellicola, solo sesso gratuito, incastonato in un'esile trama di scambio di coppie quantomai banalmente rappresentata. La metafora trita e ritrita dello squash per indicare lo scambio di corpi ed il palleggiamento di ruoli. Solo una decisa ironia salva dalla gogna totale alcune scene.