sabato 11 settembre 2010

La solitudine dei numeri primi


Ho letto il libro di Paolo Giordano in un tetro inverno difficile della mia vita. Mi piaceva lo sguardo della ragazza in copertina. Ricordava vagamente quello di Jasmine Trinca. Lo ho comprato per questo. Ancora non era scoppiato il caso. Così come non era ancora scoppiato quando ho visto a 14 anni Titanic, al primo spettacolo delle ore 16. Quando lo ho letto mi ha colpito al cuore, probabilmente non troppo critico per via della nullità delle aspettative. Chi non si sente un numero primo, scagli, infatti la prima pietra. Tutti sentiamo, infatti, di essere unici e l'altra faccia di questa medaglia è il temere di non essere come gli altri. Mattia ha abbandonato la sorella che le era stata affidata dalla madre quando era bambino, e da allora non l'ha più ritrovata. Convive per tutta la sua infanzia, adolescenza, e vita adulta con questa consapevolezza. Alice per non tradire le aspettative del padre affronta sugli sci una terribile tormenta di neve e ne rimane storpiata nel corpo e ferita nell'anima. In quale vita umana non c'è mai stato almeno uno strappo?Un rimorso? Una ferita. Il fisico Giordano sa raccontare questa banalissima legge statistica nel modo più creativo ed originale possibile. Io credo che il suo successo sia stato del tutto meritato. Per questo non era per nulla facile aspettarsi una buona riuscita cinematografica. Non è facile raccontare quel genere di angosce mantenendo intatto il candore della giovinezza in cui sono vissute. Costanzo, inoltre, ha una predilezione per narrazioni un pò cupe ed ascetiche (vedi In memoria di me), ma in questo caso il tanto dibattuto "horror" messo al centro durante il Festival di Venezia riesce a tutelare l'autenticità dei sentimenti dei protagonisti. All'inizio i continui flash-back rendono un pò tortuoso seguire la pellicola, ma rendono in un secondo momento più intrigante la storia stessa, in quanto il punto focale è cronologicamente all'inizio della vita dei protagonisti e c'era il rischio di bruciarsi subito i passaggi migliori della trama. In quanto alle atmosfere cupe non mi sono sembrate eccessive, ma funzionali al racconto di una sofferenza che c'è, ma che non rimane un qualcosa di alienante, ma fonte di unione e consolazione reciproca.

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