lunedì 25 marzo 2013

Il lato positivo - Silver linings Playbook

Silver Linings Playbook è un film che regge per tutta la sua durata il difficile equilibrio tra commedia e dramma. Pat è un ragazzo nel fiore degli anni dallo sguardo perso nei suoi rabbiosi pensieri. Al contempo il suo corpo comunica una gran voglia di riscatto. I suoi pensieri sono ossessivi e circolari, una maniacalità che lo porta ad attacchi di panico  amorevolmente contenuti e gestiti da genitori. Il malinconico Robert De Niro perde la verve di pellicole su temi familiari di tutt'altro spirito come il celebre "Ti presento i miei". Si cala in una vestaglia da pensato fanatico delle scommesse pieno di rimpianti per non essere stato un padre all'altezza di un figlio divenuto così problematico. Niente patetismo e battute affilate disposte come una pietanza di pregio su un piatto di portata all'altezza. Mi riferisco in particolare alla scena del primo incontro di Pat e Tiffany. 
Lui ordina i cereali e lei il the. E' sera. 
Su questo sfondo scorrono di sottofondo le note di popolari canzoni dell'america anni 90. Le parole cantate si avviluppano a quelle che si scambiano i due charachters producendo un armonia scenica assoluta. Tante sono le scene che si potrebbero descrivere e le battute che si vorrebbero ricordare.
Intanto il film va avanti ed ogni tassello della personalità di Pat trova lentamente un suo adattivo incastro col resto della società.
Sarebbe banale portare la riflessione sul sottile confine tra normalità e follia. Piuttosto preferisco descrivere "il lato positivo". Come un puzzle scomponibile e rimontabile in base alla predisposizione del pubblico. Ognuno con il proprio modo di pensare lo monta a proprio piacimento ed allora si può intravedere una storia d'amore, un malcelato Truman Show a fin di bene, la storia di un fallimento esistenziale, così come di un salto verso il lato positivo della vita.
O semplicemente la storia di una grande scommessa. 

Quasi amici intouchables

Le note di Ludovico Einaudi invadono il mio ricordo di "Quasi amici": un film perfettamente intonato con il malinconico senso del fluire della vita trasmesso dal pezzo di pianoforte. A distanza di tre giorni dalla visione non riesco a a liberarmi dell'incantesimo di questa dolce ossessione.
Il film racconta una bella storia drammatica senza scadere nel patetico e riuscendo a trasmettere il senso di accettazione della condizione del protagonista.
L'evoluzione dei personaggi è un pò piatta : tutto sembra embrionalmente protetto in una descrizione di personaggi ben strutturati piuttosto che sulla trama. Se da un lato la recitazione dei protagonisti riempie questo vuoto narrativo, l'evoluzione del rapporto tra i due personaggi risulta scritta in modo marcatamente naif.
Resta da chiedersi se lo stile narrativo non sia volutamente in linea con la vera indole valoriale che il film vuole trasmettere. Quale altra possibilità di vivere in modo positivo viene lasciata ad un malato tetraplegica, se non quella di interpretarla con leggerezza?

martedì 19 marzo 2013

Educazione siberiana

Esistono tanti tipi di violenza: esiste la cruenza, la volgarità verbale, la gratuità dei gesti. Educazione siberiana non è il film violento che immaginavo fosse. Credevo che avrei visto più sangue e più orrore a livello visivo. In realtà Salvatores propone un film documentario, che da alcuni critici italiani è stato posto in parallelo a Gomorra. Narra, infatti, la violenza mentale che parte da una struttura valoriale improntata sulla difesa estrema e sull'attacco. Le scene più impressive del film sono, infatti, proprio quelle che ritraggono i volti dei bambini, ormai abituati a vedere determinate scene.Le loro espressioni sono lievemente turbate, non sconvolte o affrante. Sembra che sia stato loro sottoposto uno stimolo ambiguo, piuttosto che palesemente chiaro. La chiave di volta del film sta proprio nella citazione con cui inizia: Un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare. La violenza diventa dunque parte di una educazione sociale e arriva a rientrare se ben incanalata, in una sorta di normalità. Interpretato egregiamente da John Malkovich, al quale spesso viene ritagliato il ruolo della mente malvagia, "Educazione siberiana" è un film italiano che non parla dell'Italia. Controcorrente, coraggioso, dissacrante, Salvatores esplora un genere non facilmente definibile perchè a metà strada tra il drammatico, la denuncia ed il documentario. Nonostante ciò "Educazione siberiana" è come una autostrada ad unica corsia: non ha molte chiavi di lettura, propone una realtà e lascia poco spazio all'immaginazione. Salvatores utilizza, infatti, tutti i mezzi scenici per mettere in chiaro il soggetto. Poco è lasciato allo spettatore a livello cognitivo. Quello che resta è un forte impatto emotivo da gestire.

Il grande e potente Oz

Il regista della trilogia di Spiderman cambia eroe e sceglie un soggetto più ambiguo e umano. 
Portando sullo schermo il prequel del famoso "Mago di Oz" di Victor Fleming, Reimi si addentra nell'analisi visivamente esplosiva di un personaggio al limite tra il prestigio e la magia: il mago di Oz. Ricordando a tratti Avatar, proprio nella ricerca di quelli che sono i veri valori che salvano un popolo, Reimi smonta con tono burlesco il mito del mago. Non per niente l'incipit del film riporta la mente dello spettatore proprio alle atmosfere del genere burlesque, sottolineando il sottile confine tra magia e burla. Lascia sorridere su alcune delle grandi beffe che hanno sorretto le speranze delle persone per secoli, garantendone la sopravvivenza mentale. Dopo aver condotto l'intero film parlando da dietro le quinte e facendo vedere a carte scoperte il gioco burlesco più che magico di Oz, il regista lascia che la sua genialità ci stupisca con la fantasia e la creatività. Un grande omaggio al cinema che riesce con le sue immagini a distrarre qualsiasi strega maligna ed a salvare il regno di Oz e quello dei nostri peggiori incubi.
Se lo stile del film è inizialmente volutamente patinato anche a livello visivo, geniale risulta lo stacco verso la realtà del mondo di Oz, come se il mago si trovasse improvvisamente ad uscire da un grembo fetale ed il liquido amniotico si trasforma in gallerie di colori sfumati che invadono la vista dello spettatore grazie ad uno spettacolare effetto 3D. 
E quale piccola donna non può non riconoscersi nella bambola di porcellana dalle gambe rotte, che il grande e potente Oz riesce a guarire con una magica sorta di supercolla?

lunedì 11 marzo 2013

Viva la libertà


Due gemelli o due voci interiori? Questa è la domanda che mi sono posta per tutta la durata di “Viva la libertà”.L’ultimo film in cui si esibisce l’ormai “re” del cinema italiano: Toni Servillo, stupisce subito per la sceneggiatura affilata che non esita dal proporre alte citazioni come la poesi a di Brecht “A chi esita”.”Viva la libertà” è un vero esempio di gioiello cinematografico: un film non dovrebbe infatti istigare pensieri fornendo spunti allegorici? Se inteso in questo senso “Viva la libertà” è proprio un capolavoro perché conduce in maniera diretta ed appassionata lo spettatore ad un bivio con molte strade tra cui scegliere. Ogni spettatore, infatti, può concedersi il lusso di intravedervi una propria visione. Non impone, né propone, semplicemente è un quadro impressionista il cui pennello viene lasciato in mano allo spettatore. Ed allora la fantasia si sbizzarrisce, soprattutto alla luce della coincidenza dell’uscita nelle sale con l’incerta fase postelettorale, anch’essa poco risolutoria.

Enrico è un politico diplomatico e schematico. Il fratello gemello è la passione, incarna la genuinità e la linearità ed al contempo l’estro e la creatività. Per tutto il film ci si domanda chi sia più degno di governare l’Italia, ma la riflessione sconfina su diversi livelli interpretativi, rendendo la risposta non scontata. Viene da domandarsi cosa significhi essere un “buffone” e la differenza con il termine “buffo”. Ci si può accorgere che tra i due termini così apparentemente simili c’è un abisso paradossale. Si può risollevare l’Italia? Si può continuare a sperare che sia proprio la follia a salvare il nostro Paese? E di quale follia abbiamo bisogno?

Su quest’onda valoriale si lancia come una scheggia l’interpretazione di Toni Servillo che interpreta follia e rigore con una invidiabile disinvoltura, cogliendo ogni sfumatura che distacca ed unisce i due poli, rendendoli verosimili e conciliabili, ma al contempo sfacciatamente opposti.

Non basta vederlo una volta per assaporarlo appieno, ma basta per capire che è un capolavoro.