martedì 28 dicembre 2010

La Banda dei Babbi Natale


Se di cinepanettone bisogna morire, scegliere l'ultimo film di Aldo Giovanni e Giacomo è la morte migliore che si possa fare. Dopo il catastrofico "Cosmo sul comò", il trio siciliano torna sul grande schermo con una storia autentica, credibile, compatta, ben narrata. La comicità è garbata, innocente, studiata. Ciò non vuol dire che non si rida a crepapelle. La trama coinvolge, inoltre, l'attrice Angela Finocchiaro in una parte di poliziotta che le sta a pennello e la rende più credibile di tante altre sue performances. Non sempre, dunque, il comico fa perdere di valore gli attori, anzi quando ciò non accade è sintomo di alta qualità della pellicola. E questo ne è il caso. Esilarante la partecipazione di Mara Maionchi.

lunedì 27 dicembre 2010

Memento


Il titolo di questo film di Nolan del 2000, significa ricordo e anche questa pellicola, come "Inception" si incentra sul tema della memoria. In questo caso la traccia è meno visionaria anche se tutto il succedersi degli eventi è smontato grazie ad un sapiente montaggio. Nemmeno in questo caso la trama è lineare, ma sicuramente il personaggio del protagonista è più a fuoco. Il terma del ricordo deve affascinare molto Nolan, che anche in questo caso lo pone al centro della trama. Il protagonista è, infatti, affetto da una malattia che gli annebbia la memoria a breve termine. Da questo presupposto iniziale dipende tutto il genere di narrazione, per forza di cose scombinata, in quanto segue il percorso del pensiero del protagonista. Ho trovato molto affascinante l'immagine di Guy Perce col corpo tatuato delle frasi che narrano gli eventi più significativi della sua vita. La scrittura diventa uno strumento di recupero della memoria. Anche l'lternarsi di scene in bianco e nero e a colori è una buona rappresentazione dei vari livelli di coscienza e di narrazione.

The Tourist


Sotto Natale sembra vigere la norma per cui la soglia di accettabilità di una pellicola per essere prodotta si abbassa, o meglio si sa che è più facile riempire la sala senza sforzarsi troppo. "The Tourist" è un film che sfiora il comico da quanto riesce ad essere poco credibile e kitch. Gli abiti di Angelina Jolie sono sempre sopra le righe e la staffetta di comparse di attori italiani è il modo peggiore per rendere omaggio all'Italia. Il film, ambientato a Venezia, è, infatti, un'accozzaglia di luoghi comuni sul nostro Paese. Se non fossi stata in compagnia di una persona che mi ha coinvolto nel tentativo di comprendere assieme la trama, pergiunta presuntuosamente contorta, avrei mandato tutto a quel paese e mi sarei arresa alla semplice contemplazione delle sequenze. Non tutti i film, infatti, meritano di essere seguiti. Ma a Natale, quando ci si barcamena tra cinepanettoni più o meno riusciti...anche "noi" commentatori ci addolciamo un pò.

lunedì 20 dicembre 2010

L'esplosivo piano di Bazil


Troverei molto interessante una analisi psichiatrica della mente di Jeunet. Trovo, infatti, qualcosa di profondamente malato ed al contempo geniale nel suo modo di concepire e girare film. Stavolta l'esplosione vera è quella dell'immaginazione e della fantasia che perdono quell'alone di mistero che c'era in "Il favoloso mondo di Amelie", ma al contempo guadagnano un ritmo migliore rispetto a "Una lunga domenica di passioni". La mente di Jeunet riesce a rastrellare dalla memoria più antica tutti quei pensieri tipici dell'infanzia, in cui mancano ancora alcune capacità del ragionamento. La trama narrata stavolta sembra esattamente quella uscita da un gioco infantile di gruppo. Quante volte da piccoli si è gioito della presenza di scatoloni di cartone casualmente e temporaneamente disponibili in casa? Quante volte ci siamo nascosti dentro sperando di riuscire ad essere flessibili come la ragazza del film? Quante armi abbiamo fabbricato?Tutte queste idee poi razionalizzate dal tempo, sono qui contemplate nella purezza del momento del loro concepimento. Un film irresistibile e profondo.

domenica 19 dicembre 2010

American life


Una commedia meno caustica e catastrofica di "Revolutionary Road" e di "American beauty", probabilmente meno angosciante, ma al contempo meno coinvolgente e toccante. Le aspettative che avevo nei confronti di questo film che ripercorre una serie di tappe esistenziali e geografiche, erano diverse. Pensavo si trattasse di un film condotto con uno stile di maggiore continuità con le pellicole precedenti. Il genere di "American life" in realtà mi ha molto ricordato il catastrofico "Somewhere". Forse per questo senso del vagare o forse per questa più o meno subdola assenza di valori, o meglio di certezze. La certezza di poter fare affidamento sui propri genitori, il poter avere un luogo in cui vivere in cui ci si sente accolti, la sicurezza interiore per affrontare un matrimonio. Tutti i meccanismi e gli equilibri della società tradizionale vengono scardinati. L'impatto del film al di là del messaggio non mi ha però coinvolto, probabilmente perchè ricalca il ritorno di una cultura yuppie, che non sento nell'oggi così presente.

venerdì 17 dicembre 2010

La bellezza del somaro


In un casolare sospeso nell spazio e nel tempo vengono trasportati tutti gli psicodrammi familiari e sociali della società moderna. Il patetismo è sfidato con l'ironia. Ne esce una commedia a tratti oniricamente felliniana, a tratti teatrale, che rappresenta il mondo di oggi riuscendo a coglierne una quantità di sfumature veramente impressionante. Il trigenerazionale, i rapporti di coppia, i tradimenti ed il rapporto genitori figli. Il fallimento degli ideali di una generazione di sessantottini, il prolificare delle canne come forma di condiisione di un'esperienza. Tutto questo e molto altro ancora viene frullato in un'esilarante commedia che vuole fare i conti con la realtà, ma mantenendo un punto di vista artistico, in modo da ridurre il senso di amarezza. Il film è anche pieno di provocazioni come quello della figlia Rosa che si fidanza con un vecchissimo per lei Enzo Iannacci, il quale per tutta la durata del film è una sagoma magrittiana. Rappresenta "il vecchio" e basta, forse proprio come lo vede la adolescente. L'immagine del somaro è l'emblema della società come viene qui rappresentata: limitata e ridicola, ma al contempo innocente e piena di tenerezza.

domenica 12 dicembre 2010

In un mondo migliore


Il titolo è una forte antifona rispetto al contenuto di un film che sviscera il significato che può assumere in diversi contesti, a diversi livelli, la violenza. La violenza è dentro di noi ormai e paradossalmente quella vera delle sparatorie in Africa fà meno paura. Perchè almeno ha un senso. Un orribile motivo di esistere in quel luogo ed in quello spazio. Invece tra le mura domestiche il silenzio è violenza. Il bullismo è violenza. Soprattutto quando esplode in un fenomeno molto più vasto e subdolo. La violenza in questo film è assorbita nell'anomo di ciascun protagonista che la mette in atto. Il maestro di questo genere è il Lars Von Trier di "Dogville", ma il motivo per cui una tale esigenza narrativa continua ad essere rilanciata va analizzato nella società di oggi, nel modo in cui la tragedia delle Twin Towers è stato metabolizzato in questi dieci anni.

La regia è asciutta ma presente, i bambini veri protagonisti hanno una recitazione veramente profonda e convincente.

venerdì 10 dicembre 2010

RCL Ridotte Capacità Lavorative


Si può definire questo lungometraggio un simpaticissimo documentario felliniano sulla situazione attuale dei dipendenti della Fiat di Pomigliano D'arco. La fnatasia irrompe in questo dramma raccontato come una cronaca itinerante da un Paolo Rossi serio, ma delirante come al solito. Un tributo dell'attore ad una causa sociale ormai ben nota. Le scene sprigionano leggerezza perchè ssono girate nell'assenza totale delle regole dello spettacolo. Non si vuole rappresentare, ma far vedere. Un gran bell'esperimento per dare speranza all'Italia che produce.

lunedì 6 dicembre 2010

We want Sex


Se in "L'erba di Grace" Nigel Cole aveva reso frizzante la riuscita del film con la frizzante trovata del business dell'erba, in questo caso la trama è molto più retorica. Si rende omaggio alla lotta delle donne in Inghilterra (e nel mondo) per la parità dei diritti salariali. Sebbene per molti aspetti il tema risulti ancora molto attuale anche in Italia, questo film, non è riuscito a coinvolgermi più di tanto. Mi è sembrato più che altro un buon compitino per toglersi dalla coscienza una sorta di dovere morale. Ciò non va a discapito dell'eccellente recitazione e della discreta resa del tema.

domenica 5 dicembre 2010

Il responsabile delle risorse umane


In questa definizione tecnica di un ruolo aziendale dirigenziale c'è tutto il senso di questa pellicola che trasla i valori "ideali" che un lavoratore in siffatta posizione dovrebbe detenere, dall'ambito lavorativo a quello della vita personale. Il responsabile delle risorse umane si lascia infatti talmente coinvolgere dalla vicenda della morte di una sua lavoratrice, tanto da accompagnarla nel suo tortuoso viaggio verso la sepoltura. Il suo diventa dunque un ruolo di responsabilità spirituale, che parte da una necessità di salvare l'immagine dell'azienda, ma finisce col coinvolgere profondamente il personaggio in questione. L'alto senso di rispetto verso il ruolo ricoperto è ulteriormente evidenziato dal fatto che il responsabile non conosce nemmeno la lavoratrice morta. Il film è, dunque, un viaggio on the road attraverso diversità culturali e sentimenti da elaborare in cui il pretesto lavotrativo si perde in un'esperienza molto più vasta e profonda.

venerdì 3 dicembre 2010

Incontrerai l'uomo dei sogni


Woody Allen stavolta limita il proprio turbolento Ego e non compare in scena, lasciando un vuoto ben riempito dalla recitazione dei soliti volti noti (Banderas) mescolati a visi qualsiasi. Un cocktail veramente congeniale al nostro regista, che sceglie una locandina seducente, quanto pop.
La scelta degli attori e l'understatement con cui i più famosi vengono condotti a recitare rappresente magistralmente quello che la vita é: sobrietà e condraddizioni, corna e felicità, instabilità e armonia al contempo. Non nascondo di essere profondamente invidiosa del modo in cui Woody ritrae il mondo: non racconta mai delle favole, ma i casini che le sue trame attraversano e sviscerano hanno sempre la leggerezza di qualcosa che non condiziona così irrimediabilmente la vita. I drammi sono anestetizzati dallo humour e dal vedere tutto sempre così precario e stabile al contempo. Credo che coi tempi che corrono questo modo di fare cinema diventi sempre più l'emblema di una filosofia di vita desiderata dalla gente comune, che vive di momenti e di assurdità. Per questo credo che Woody Allen, che sia virtualmente presente o fisicamente nelle proprie creazioni, sia il più grande cineasta (assieme al collega Clint Eastwood) del cinema americano contemporaneo. Talmente geniale da potersi permettere di prendere e lasciare, dipendere ed autonomizzarsi dalle proprie muse ispiratrici, vedi Scarlett johansson, senza perdere un colpo.

giovedì 2 dicembre 2010

The killer inside me


"The killer inside me" è un noir molto simile a "Non è un Paese per vecchi", ma, nonostante non raggiunga i livelli di interpretazione e scrittura del film dei Coen, mantiene comunque un livello di spettacolo rispettabile. La violenza è tanta, ma non sopra le righe. Probabilmente in alcuni momenti l'evoluzione della psicologia criminale del protagonista non è così argomentata e compaiono pezzi di passato sconnessi tra loro. Eppure il risultato finale è convincente.

martedì 30 novembre 2010

La donna della mia vita


La società di oggi, ma più che altro le coppie e gli uomini di oggi sono ormai più e più volte entomologicamente analizzate dal cinema. Per questo il film di Luca Lucini è apprezzabile. Pur ripercorrendo tutte gli stereotipi riesce a riempire la propria rappresentazione con una certa autenticità profonda. Il suo attore feticcio è ormai dichiaratamente il bellissimo Luca Argentero, già presente nei suoi film più recenti "Solo un padre" e "Oggi sposi". La sceneggiatura scritta da Cristina Comencini è palesemente di un certo livello.

mercoledì 24 novembre 2010

Illègal


La condizione esistenziale della clandestinità, di chi non ha una patria, di chi vive nascosto in posti squallidi è il focus scelto dal regista che decide di intersecare tale tematica con quella non facile della separazione tra una madre ed un figlio. Sicuramente gli argomenti trattati sono facilmente suggestionabili, ma la resa cinematografica è magistrale, dalla fotografia che si sofferma sui luoghi spenti, alla rappresentazione delle scene di violenza alla madre che non vuole a tutti i costi rimpatriare allontanandosi, così, dal suo bambino.

domenica 21 novembre 2010

Io sono con te


"Io sono con te" è un film molto originale e semplice, forse anche trasgressivo, nel voler raccontare la storia di Gesù da un punto di vista diverso: quello di Maria. E' lei l'eroina di questa pellicola. Così la più grande storia religiosa della cultura cristiana si trasforma in un film pedagogico sull'educazione impartita a Gesù. Inoltre l'analisi del regista s'allarga ai meccanismi della società dell'epoca in cui Gesù vive. Vengono messi in luce i giochi di potere, le gerarchie e questa nascente cultura cristiana, che ancora deve raggiungere il suo momento cruciale di sviluppo. Il personaggio di Maria è tratteggiato in maniera minuziosa e molti tratti dei personaggi che con lei si relazionano rimangono sfocati per darle spazio.

Noi credevamo


In un momento così travagliato per lo spirito nazionale del nostro Paese, "Noi credevamo" si sofferma, con la narrazione storica del Risorgimento, soprattutto sui pensieri, le azioni e le emozioni di coloro che hanno lottato nel silenzio perchè l'Italia fosse non solo unita, ma anche una Repubblica democratica. Personaggi storici si confondono alla gente comune e, nonostante le due ore e cinquanta di proiezione siano un pò ridondanti, arriva al cuore la passione confusa per qualcosa di diverso, indefinito ed al contempo chiaro. Il bisogno di creare una nuova realtà nazionale governa il caos del momento storico, che in realtà è, nelle menti dei patrioti, guidato da un progetto ben preciso. Un gran bel film sulla nostra Italia, su quello che siamo stati, su quello che abbiamo passato per diventare quello che siamo. Probabilmente la confusione dell'epoca non è così lontana da quella di oggi, ma con una matrice diversa: la unione e non la frammentazione. Inoltre la recitazione di grandi attori italiani come Luigi Lo Cascio, Toni Servillo, Anna Bonaiuto, dà molto l'idea di un tributo del cinema che rappresenta l'Italia, all'Italia stessa.

mercoledì 17 novembre 2010

Lost in translation


Quando stasera ho visto questo film ho avuto il sospetto di averlo già visto e di essere stata all'epoca un pò disorientata dal suo genere. Probabilmente non ero ancora pronta ad una trama che rivela tutte le ambiguità e le sfumature di una società ormai universale, che può essere giapponese come americana in cui la solitudine è la condizione dominante. Scarlett Johansson gioca sempre la parte della intrigante Lolita ed il personaggio di Bill Murray assomiglia molto a quello del protagonista di "Somewhere". In genere la brutta copia precede quella bella, invece in questo caso Sofia Coppola fa il contrario. Il suo ultimo pluripremiato film mi era sembrato veramente privo di senso: puro esercizio di stile, ma credo che vedere Lost in translation sia propedeutico perlomeno a capire cosa la regista intendeva comunicare. Ciò non significa giustificare l'insensatezza di "Somewhere". In Lost in translation i dialoghi sono molto raffinati e colmano la scenografia un pò statica. Un piccolo capolavoro.

domenica 14 novembre 2010

Stanno tutti bene


Nonostante il tema fosse palesemente strappalacrime e potesse fare un facilissimo scivolone nel patetico, "Stanno tutti bene" è un viaggio psicologico che rivela grandissima autenticità, nella mente di un uomo che si affaccia alla terza età ed alla solitudine. Mi ha fatto uno strano effetto vedere il più grande attore vivente Robert De Niro, che tutti ricordiamo in ruoli ben più movimentati, interpretare il ruolo di un quasi-vecchio. Al di là di questo si tratta di una storia che racconta con grande limpidezza e sincerità l'evoluzione dei rapporti familiari nell'arco di vita in America. Questa storia mi ha veramente emozionato, in buona parte per la sceneggiatura e la recitazione da asso nella manica di De Niro, per il resto mi ha ricordato molto la storia di alcuni miei lontani parenti italo-americani. Anche loro quattro fratelli in carriera sparpagliati per i vari stati degli USA, anche loro figli di genitori molto allenati a gestire i rapporti familiari con così grande distanza. In America funziona così.

sabato 13 novembre 2010

Ti presento un amico


Da Psicologia del lavoro sottolineo che se persino Vanzina, il regista di film d'evasione per eccellenza, è arrivato a toccare, a modo suo, il tema della crisi lavorativa odierna, vuol dire che la situazione è veramente di urlante emergenza. Il contributo fornito dal regista dipinge un pittoresco scenario del mondo delle aziende, che somiglia molto più a quello dei bordelli. Il manager diventa un puttaniere per eccellenza e le colleghe sono le veline dei vari "Natale a...". Questa visione piatta e semplicistica e poi soprattutto falsa del mondo del lavoro, cerca comunque di fare "giustizia" ai lavoratori, proponendo una figura di manager, che sulla carta è molto simile a quello di George Clooney in "Tra le nuvole", che non riesce, però a licenziare ed a tagliare le teste così come vorrebbe il capo. Vanzina cer ca di misurarsi con un tema drammatico, ma quello che ottiene è di girare la sua solita commedia, magari dall'ironia un pò più contenuta, con per sfondo cartonato, ma ben poco credibile, quello delle aziende di oggi.

The Social Network


Da tanto si parla di questo primo film sul più famoso social network del mondo. Dall'idea che mi ero fatta credevo Facebook fosse al centro di un dibattito sull'evoluzione della comunicazione che imperversa negli anni '10. Probabilmente per questo il film di David Fincher mi ha spiazzata. In realtà quella che viene narrata è l'entusiasmante nascita del social network più di moda adesso. Quello che più mi ha deluso è l'enfasi sulla innovatività dello strumento, che a me personalemnte non è arrivata. Non dico con questo che la trama non sia sufficientemente incalzante. Eppure questo film, rimane per me inspiegabilmente sospeso tra un documentario ed una cronaca romanzata, tendendo, però, più verso il primo. L'aspetto più affascinante della storia: il fatto che i fondatori di Facebook siano ragazzi giovanissimi, ventenni alle prime armi con la vita e con la propria carriera, in realtà non è stato reso, a mio parere, giocandosi le carte emozionali migliori.

mercoledì 10 novembre 2010

Mammuth


Il mastodontico Mammuth del film ha il volto disarmante di Gerard Depardieu, il quale interpreta il secondo film di fila (dopo "Potiche") sul tema del lavoro. Si direbbe che anche la Francia stia cominciando ad avvertire l'influsso della crisi lavorativa, fornendo diverse rappresentazioni del mondo del lavoro. Eppure "Mammuth", pur partendo dal dramma di un operaio che al termine della sua carriera, scopre di non avere una pensione, perchè non gli sono stati versati i contributi dalle aziende, in realtà è un candido ritratto della terza età, rappresentata con immagini di alta poesia. Il nostro protagonista sale a cavallo del suo catorcio (come lo definisce la moglie) di moto, che è l'emblema degli strumenti che egli detiene per affrontare i problemi della vita, e parte. Alla ricerca degli intoppi burocratici ed esistenziali che gli impediscono di godersi la vecchiaia. Questo viaggio sulle tracce anche di sè stesso è filmato con una pellicola dai colori molto saturi, che danno un'idea di atemporalità ed intimità. Alla fine ciò che mi è rimasto dentro è un senso di grande solidità interiore, trasmesso dal mastodontico fisico rassicurante di Depardieu e dal suo tornare a casa con serenità da un viaggio alla scoperta di aspetti anche non troppo desiderabili di sè.

domenica 7 novembre 2010

L'illusioniste


"L'illusioniste" è un candido tuffo nel passato dei cartoni animati precursori del digitale. Tratto da una sceneggiatura di Jacques Tati, il personaggio principale, che ne è l'alter ego, ricorda molto Charlie Chaplin ed il genere di ironia del cinema dell'epoca. Quasi completamente muto, come le pellicole degli anni '30, il film narra la storia di un illusionista, il cui prestigio è in declino e di una ragazzina scozzese alle prese col suo primo amore. Romantico e nostalgico.

Potiche La bella statuina


Dopo il visionario Ricky, Francois Ozon torna alla regia di una pellicola altrettanto vivace e patinata. Pettinature cotonate e cornette del telefono felpate, sono solo alcuni degli elementi visivi che fanno da cornice ad una storia che cavalca i valori femministi degli anni '70, proponendo l'ascesa di una "bella statuina", la morbida ma sempre bellissima Catherine Deneuve, alla guida della pittoresca impresa di ombrelli in sostituzione del marito. Nonostante i personaggi tendano al macchiettismo, tutto rimane credibile, donando un senso di leggerezza da favola. Il personaggio della Deneuve subisce un'evoluzione che ripercorre quella della condizione della donna negli ultimi 50 anni, con un finale abbastanza avveniristico. Il mastodontico Depardieu ben s'intona con lo spirito della storia, regalando un tocco di eleganza.

venerdì 5 novembre 2010

Una vita tranquilla


Il titolo di questo film ha un ruolo di contrasto con le vicende per nulla tranquille del protagonista. Servillo interpreta il solito ruolo di malavitoso, che ormai sembra essergli cucito addosso. In questo caso l'ambiguità del suo personaggio è più umana e narrata ed il suo personaggio sembra più vero e meno imbalsamato di quelli che siamo abituati a vederlo interpretare. Proprio per questo tale interpretazione gli è valsa il premio Marc'Aurelio all'ultimo Film Festival di Roma. L'abbagliante interpretazione dell'attore dona una luce particolare ad un film cupo ed eccessivamente contorto, a tratti difficile da seguire.

mercoledì 3 novembre 2010

Post-mortem


L'aspetto che mi ha più colpita di questa pellicola sono i colori. Sembra, infatti, di essere in uno di quei filmini che ogni tanto i genitori tirano fuori dai ricordi del passato. In realtà questo rimando ad un'altra dimensione anch'essa "morta" si combina felicemente con l'evocazione continua della morte che il film propone. Il protagonista, infatti, raccoglie i referti delle autopsie in obitorio e la dittatura cilena è un rigurgito del passato nel presente. L'insieme dei tempi delle scene, delle mortifere autopsie e la scena finale in cui la camera fissa a lungo il seppellimento fisico delle ferite del passato rende questa pellicola se non angosciante, molto riuscitamente tetra.

sabato 30 ottobre 2010

Animal kingdom


Assimilato al nuovo Martin Scorsese australiano, David Michod è a mio parere molto più paragonabile al Michael Cimino di "Il Cacciatore". Il protagonista di Animal Kingdom mi ha, infatti, molto ricordato l'involuzione criminale di De Niro. In questo caso, però Josh rimane travolto da un'assetto familiare al quale si trova a dover adattare in conseguenza della scomparsa della madre. Non si tratta di una metamorfosi volontaria, ma un trovarsi coinvolti in una malavita a tratti grottesca e che sfiora il noir. La scena inziale mi ha riportato all'incipit di "E morì con una felafel in mano", così come molte scene mi hanno ricordato ifilm dei fratelli Coen. Nonostante queste citazioni, il film ha una struttura solida ed una forte personalità e la sua marcia in più sta proprio nel narrare la crudeltà in maniera così distaccata.

venerdì 29 ottobre 2010

Maschi contro femmine


Dopo l'exploit di "Notte prima degli esami", Fausto Brizzi ripete l'esperimento, ampliando la portata televisiva del cast e aggiudicandosi il merito ed il demerito di aver prodotto l'ennesimo film godibile e divertente, spensierato e senza pretese fin dal titolo, che costruisce poche aspettative nella sua formula adolescenziale.

Spesso vado al cinema semplicemente per svuotare la mente da una settimana di pensieri ed una formula del genere è il modo più veloce per spazzare via come un uragano tutte le immaginarie foglie autunnali che mi affollano di preoccupazioni invernali. Quello che mi domando, però, è al di là di questa funzione catartica e pseudoclinica del cinema, fino a che punto questa discesa del cinema italiano continuerà ad avanzare verso una commistione non sempre così lecita di cinema e televisione? Mi sembra, infatti, che, se qualche esperimento lecito produce effetti divertenti se combinato nelle giuste dosi, non sempre e non in tutte le forme produce un risultato riuscito. Si tratta, a mio parere di due linguaggi completamente diversi, il televisivo nel cinema rischia di trascinare il tutto sul cabarettistico, togliendo profondità alle scene e rendendole troppo parlate a scapito della recitazione.

mercoledì 27 ottobre 2010

Wall Street


Oliver Stone firma un film non all'altezza del suo nome. La recitazione di Michael Douglas, nella sua ultima interpretazione prima di scoprire di avere un tumore, è veramente superba e compensa molto la cupa e monotona scenografia. Il ritmo non manca e la trama è quantomai attuale proponendo un ritratto della crisi americana quantomai realistico.

lunedì 25 ottobre 2010

Uomini di Dio


"Uomini di Dio" è il ritratto della spiritualità di una silente comunità di monaci nascosta nella guerriglia terroristica dell'Algeria. La loro sembra un'isola felice in cui tutto trova un senso e il senso del gruppo e della spiritualità salva dalla paura della guerra. Questo fatto di cronaca al quale la pellicola vincitrice del Gran Premio della Giuria è dedicata costituisce veramente un esperimento ben riuscito in cui tutte le componenti tecniche del film: dalla scenografia al montaggio sembrano perfettamente in armonia restituendo una piccola storia convincente e ben resa.

domenica 24 ottobre 2010

Figli delle stelle


Nonostante la trama non sia malconcepita, la voglia di ripercorrere il genere de "I soliti ignoti" avviene trasmettendo un senso di malinconia, di deja vu e di vuoto di contenuti. Si parte da temi della società di oggi, che vengono interpretati riproponendo un repertorio che in realtà non ha più nulla di vivo. Le battute ci sono, ma rimangono isolate producendo una costellazione di risate che non si legano tra di loro sconfinando in un senso di forte frammentarietà. Un film che decolla ma mantiene una quota molto bassa, che non dimostra vanitose ambizioni, pur rimanendo un prodotto cinematografico godibile.

venerdì 22 ottobre 2010

Passione


Napoli mi rcorda i viaggi della mia infanzia, quando mi divertivo a scorrazzare per i corridoi degli alberghi, incurante del luogo in cui mi trovavo, ma solo estasiata dall'aver tanto spazio in cui muovermi e soprattutto senza compit da fare. A Napoli sono entrata nella prima Feltrinelli della mia vita in ci ho speso il mio primo salvadanaio di risparmi in libri. Immagino che analoghi ricordi immersi in una dimensione leggedaria e libresca, abbiano ispirato il regista italoamericano John Turturro nel mettere in piedi un fil camaleontico ed indefinibile in termini di genere. Risulta riduttivo chiamarlo musical o documentario o film corale. La cosa più sconvolgente è vedere un americano volgere un tributo verso il simbolo dell'italianità senza apparire un turista, ma un cantore di una bellezza autentica che parte dalle strade e dalla gente povera , dai suoi sogni e dalla sua storia artistica e musicale. Questa autenticità non è mai macchietistica, ma conduce il "docu-musical" con una vorticosa passione.

lunedì 18 ottobre 2010

Lo zio Boonmee che si ricorda le sue vite precedenti


Vincitore della Palma d'oro a Cannes, non è difficile capire come un film talmente visionario possa avere conquistato il presidente dell'edizione 2010 Tim Burton. Felliniano, per fornire una definizione non troppo originale, il film in relatà è una sublimazione della cultura orientale, che viene raccontata qui come la ciave giusta per interpretare in chiave favolistica la vita di ciascuno di noi. Non esistono confini tra passato, presente e futuro, in questa trama, del resto tale distinzione non persiste nemmeno nei sogni. Ad essi non inerisce nemmeno la coerenza d'immagine delle persone e delle cose, che vengono riconosciute per quello che cognitivamente rappresentano e non per quello che visivamente comunicano (vedi la scena del figlio tramutato in bestia). Il ritmo orientale del film, inoltre, scandisce come una perfetta colonna, una trama atemporale, che fa leva, oltre che su una pittoresca scenografia, sulla sospensione delle scene in una dimensione non misurabile in termini di minuti.

sabato 16 ottobre 2010

Gorbaciof


Se la maggior parte della critica si è soffermata sulla straordinaria recitazione di Toni Servillo, pur non negandone la qualità, a me "Gorbaciof" ha fatto pensare che il nostro attore si stia sempre più fossilizzando in un ruolo molto circoscritto e grottesco. Se, infatti, Servillo riesce parossisticamente a dare profondità a personaggi sospesi a qualche metro di distanza dalla realtà e cucitigli addosso, credo che la sua vera cifra di attore si vedrà quando e se riuscirà ad uscire da questo fortunato clichè. Il pittoresco Gorbaciof assomiglia, infatti, un pò troppo al protagonista dell'altrettanto fortunato "Le conseguenze dell'amore" ed anche la trama del film sembra essere veramente poco originale se la si guarda tenendo come riferimento la precedente pellicola di Sorrentino.

venerdì 15 ottobre 2010

The Town


La città del titolo è Boston, nel cui quartiere di Charlestown, lo spaccio di cocaina e la rapina delle banche costituisce una buona fetta della visione della vita della città. Ben Afflek ha uno stile registico molto sicuro, ma l'unica trovata originale di questo film sembra essere quella dei delinquenti vestiti da suora con tanto di maschera da mostro in stile notte di Halloween. Per il resto il film scorre senza intoppi seguendo tutti i canoni del cinema di genere di Hollywood. Sinceramente pensavo si trattasse di un thriller e quindi di un film con un maggiore tasso di tensione, metre in realtà "The Town" è un piattissimo noir.

domenica 10 ottobre 2010

Quella sera dorata


La classe di Ivory si riconosce fin dalle prime scene, dai colori delle immagini, dal montaggio e dal ritmo dato al succedersi delle scene. Un punto di svolta in una famiglia dell'Uruguay viene analizzato in ogni minimo dettaglio. Si tratta di un nucleo molto coeso, ma come spesso capita in questi casi, pieno di non detti, di emozioni da rielaborare. Sembra, infatti, che quando il giovane borsista Omar Razaghi arriva sul posto, in cerca dell'approvazione inizialmente negata a scrivere la biografia di un parente morto, è come se un sasso avesse improvvisamente infranto un lago ghiacciato. La sceneggiatura regge il fascino della scenografiae viceversa. Tutti gli ingredienti sono ben amalgamati e la recitazione del fantastico Anthony Hopkins e della ormai nota Charlotte Gainsbourg contribuiscono a rendere questa pellicola un piccolo gioiello da collezione.

venerdì 8 ottobre 2010

Una sconfinata giovinezza


Sconfinata è la tristezza che Pupi Avati riesce a comunicare raccontando magistalmente la sofferenza di una coppia in cui il protagonista Lino viene progressivamente aspirato della propria memoria, vittima del progressivo morbo di Alzheimer. Questo è però soprattutto un film sull'amore, sul prendersi cura, su chi rimane accanto a queste persone e le vede spegnersi gradualmente. Oltre a questo "Una sconfinata giovinezza" è una bellissima riflessione sulla memoria, non solo su quella che non rimane, ma anche su quella che resta. Lino, infatti, seppur venga gradualmente privato della memoria a breve termine e di quella di lavoro, continua a ricordare la propria infanzia, proprio nel modo deformato che è tipico dei ricordi. Sembra che Pupi Avati riesca come regista molto meglio quando racconta grandi sofferenze e drammi, molto più di quando si perde nella vuotezza di una storie quotidiane meno drammatiche. La malinconia è, infatti, una sua inconfondibile nota registica, che trova sua realizzazione e rappresentazione massima in questo genere di trame.

lunedì 4 ottobre 2010

La pecora nera


Ascanio Celestini riesce a cavalcare il tema della rinchiusione dei matti, tanto comune nei fatidici anni '60 del film, con una padronanza dei sentimenti che narra sbalorditiva. Molti sono i film che, infatti, oggi raccontano la vita dei "matti" prima della legge Basaglia, ma mai mi era capitato di assistere ad una rappresentazione così toccante pur senza essere patetica e così originale. Il funzionamento mentale del geniale Celestini, che vediamo nelle vesti eccellenti di attore, quando impersona il protagonista rinchiuso fin dall'infanzia in un manicomio, diventa il leit motiv e filo conduttore della storia stessa. Tra interlocutori immaginari, pensieri circolari, frasi ripetute come mantra. Il senso di solitudine che si insinua sempre più nello spettatore esplode nella scena del supermercato finale.

domenica 3 ottobre 2010

La zona morta

"La zona morta" è quello spazio temporale che intercorre tra il prevedere un evento e l'evitare che la previsione si realizzi. Molto tipico di Stephen King, come del resto del più famoso "Shining", il tema delle visioni orride, anche se qui non si parla di luccicanza. Classico film horror degli anni '80: ambientazioni e modo di girare, tempistica e scene molto simili al contemporaneo "Misery non deve morire", sempre tratto da un libro di Stephen King. Non sono nemmeno passati 30 anni da quel periodo eppure già gli horror prodotti in quel momento sembrano così datati. Un bravissimo nonchè giovanissimo Chistopher Walken impersona il protagonista John, riuscendo ad incutere con il suo sguardo la dovuta inquietudine che si ambienta benissimo col resto della trama. Irriconoscibile lo stile di Cronenberg, molto distante da quello di molte sue pellicole successive.

sabato 2 ottobre 2010

Benvenuti al Sud


Dopo aver ascoltato l'intervista di Renzo Bossi durante la prima puntata de "Le invasioni barbariche" della Bignardi, non c'è film più riscattatorio e consolatorio di "Benvenuti al Sud". Si tratta di una fotografia nitida senza eccessivi sbilanciamenti verso il macchiettismo, di cosa porta gli italiani a votare determinati partiti politici come la Lega dal fazzoletto verde. Al centro di tutto ci sono gli stereotipi che vengono in questa pellicola entomologicamente sviscerati. Ne esce un'Italia divisa da un mondo di credenze che in realtà appartengono solo alla rappresentazione mentale che la gente ha rispettivamente della zona geografica opposta alla propria. Il risultato è a tratti cabarettistico, ma nel complesso la trama regge ed è credibile ed intensa, oltre che immancabilmente malinconica.

mercoledì 29 settembre 2010

Il grande capo


"Il grande capo" che incombe sulla storia fin dal titolo, in realtà è una figura fantasma, che dall'alto del suo silenzio lascia spazio al rispecchiarsi di una serie di meccanismi tipici delle aziende in crisi. Rapporti tra colleghi, piccoli scandali, ricatti, paure di assorbimenti da parte di altre aziende, l'outsourcing che si confonde con improbabili altre terminologie. Quanti uomini oggi vedono la propria vita appesa ad una firma di un grande capo? E se quella presenza grafica su un altisonante foglio vacilla? L'angoscia di perdere il lavoro viene sublimata in questa storia, così improbabilmente larsoniana, attraverso una finzione ludica vera e propria. Un attore si infiltra in un'azienda, ingaggiato dalla stessa per fingersi il "grande capo" che nella realtà non esiste e diventare il deus ex machina di un maxilicenziamento. Grottesco e al contempo angosciante. Rappresenta una delle modalità moderne di mettere in scena il dramma dei lavoratori che stanno per diventare disoccupati.

lunedì 27 settembre 2010

La Passione


Dopo l'anteprima veneziana che mi aveva molto incuriosita, trovo "La Passione", finalmente nelle sale, un film molto ben confezionato, ma anche molto banalmente rappresentato. Nonostante la recitazione straordinaria dell'ormai sempre martirizzato Silvio Orlando e del sempre più emergente Giuseppe Battiston, la trama ha una sceneggiatura debole e sembra più che altro un montaggio randomizzato di una serie di battute riuscite. Il contributo di Corrado Guzzanti rimarca il tono surreale, rendendo per contrapposizione, ancora più realistica la disperazione del regista Dubois (Orlando).

sabato 25 settembre 2010

Inception


Ho sentito parlare molto bene di Inception dalla critica ed a due ore dalla mia uscita dalla sala, cerco ancora di trovare un particolare almeno che mi illuda di averci capito qualcosa. Pensavo di andare a vedere un nuovo "Shutter Island", ma "Inception" è molto più insensato, talmente tanto da diventare noioso nonostante le interminabili sparatorie e i crolli scenografici inverosimili dati da un tripudio di effetti speciali. Leonardo Di Caprio non brilla per la propria interpretazione. L'inconscio viene esplorato in maniera talmente tanto imprevedibile, senza seguire nemmeno una regola del funzionamento del mondo onirico, da farmi arrendere all'idea di poter trovare un barlume di filo logico. Shutter Island alla fine svela molto di più e comunque fornisce allo spettatore più spunti solidi su cui costruire un'ipotesi di realtà. Ciò non accade in "Inception".

domenica 19 settembre 2010

Niente paura


Niente paura ritrae l'Italia come collage di vissuti ed emozioni forti, ma anche contrastanti tra loro, in cui la Costituzione è un'ombra antica che tuona dall'alto con una voce astratta sempre più lontana , mentre a Terra regna il caos. La paura emerge come sentimento dominante degli italiani e la musica di Ligabue diviene la speranza per superare questa indefinita identità. Proprio le sue canzoni divengono lo stumento per accompagnare il fluire della memoria del nostro Paese ponendo al primo posto gli italiani. La politica è assente dalle immagini, anche se di fatto la figura di Ligabue rappresenta quella di un ideale leader, popolare, ma onesto che potrebbe raccogliere le energie latenti degli italiani riportandole in piazza e distogliendole dal Grande Fratello. Il pregio di questo documentario è di riuscire ad esprimere un proprio preciso pensiero senza schierarsi politicamente, ma al contempo coinvolgendo grazie ad un ritmo delle immagini serrato ed appassionante.

sabato 18 settembre 2010

Mangia prega ama


Raccogliendo nel modo più banalizzante possibile tutti i luoghi comuni della cultura italiana, indiana e balinese, questa pellicola racconta un vero e proprio mito del mondo americano di chi vive immerso nella vacuità dei riflettori. Il viaggio verso la spiritualità dell'India attraverso la conoscenza della povertà è un vero e proprio status symbol di chi vive pensando ogni giorno a quale marca indossare e quante calorie bruciare per essere piacente in base ai canoni imposti. Tutto questo percorso non è che un tentativo disperato di trovare quella fodamentale parte di sè stessi persa in qualche camerino. Il vero viaggio purtroppo e per fortuna non necessita però di sottoporsi a così consistenti fusi orari e il vuoto che comunica questa lentissima storia ne è la prova. Oltre che esprimere un mito che personalmente non condivido, questo film è anche girato con grande faciloneria, seguendo il manuale dei clichè americani. L'unico aspetto dell'effetto finale che si salva è la recitazione discreta della Roberts, anche se le sue labbra sono un tantino inverosimili. La presenza di Javier Bardem è veramente una pennellata finale per resuscitare una trama vuota, ma non giustifica il suo essere accostato in copertina alla figura della protagonista. L'importanza dei ruoli è troppo diversa e la locandina sembra quindi solo una gran furbata commerciale.

sabato 11 settembre 2010

The American


Quando George Clooney aderì alla kermesse di vip in visita a L'Aquila distrutta dichiarò che il suo piccolo contributo personale per aiutare la ricostruzione sarebbe stato costituito dal girare un thriller tra le macerie. Questo è il gossip che mi ha invogliato ad entrare nella sala in cui proiettano "The american". Se non fosse per questo spirito solidaristico tutto il resto è un flop. A partire da George Clooney in persona. La sua espressività sembra oramai così appiattita e stride molto con il successo e correlati gossip amorosi che vanno a nutrire il suo fascino. Non so dire, in realtà, se il nostro George sia mai stato davvero un bravo attore. Sta di fatto che, senza perdersi in troppe dietrologie, in "The american" il suo personaggio è interpetato in maniera così piatta ed impersonale: non c'è un solo momento in cui l'attore non smetta di essere sè stesso. Se poi si aggiunge: che la città in cui il film è ambientato non sembra così distrutta come L'Aquila, ed infatti è Sulmona; che la storia è talmente tanto misteriosa da privare lo spettatore di qualsiasi strumento per conoscere i personaggi ed affezionarvisi, non è difficile concludere che il film sia stato solo una trovata mediatica, ma veramente niente di più.

La solitudine dei numeri primi


Ho letto il libro di Paolo Giordano in un tetro inverno difficile della mia vita. Mi piaceva lo sguardo della ragazza in copertina. Ricordava vagamente quello di Jasmine Trinca. Lo ho comprato per questo. Ancora non era scoppiato il caso. Così come non era ancora scoppiato quando ho visto a 14 anni Titanic, al primo spettacolo delle ore 16. Quando lo ho letto mi ha colpito al cuore, probabilmente non troppo critico per via della nullità delle aspettative. Chi non si sente un numero primo, scagli, infatti la prima pietra. Tutti sentiamo, infatti, di essere unici e l'altra faccia di questa medaglia è il temere di non essere come gli altri. Mattia ha abbandonato la sorella che le era stata affidata dalla madre quando era bambino, e da allora non l'ha più ritrovata. Convive per tutta la sua infanzia, adolescenza, e vita adulta con questa consapevolezza. Alice per non tradire le aspettative del padre affronta sugli sci una terribile tormenta di neve e ne rimane storpiata nel corpo e ferita nell'anima. In quale vita umana non c'è mai stato almeno uno strappo?Un rimorso? Una ferita. Il fisico Giordano sa raccontare questa banalissima legge statistica nel modo più creativo ed originale possibile. Io credo che il suo successo sia stato del tutto meritato. Per questo non era per nulla facile aspettarsi una buona riuscita cinematografica. Non è facile raccontare quel genere di angosce mantenendo intatto il candore della giovinezza in cui sono vissute. Costanzo, inoltre, ha una predilezione per narrazioni un pò cupe ed ascetiche (vedi In memoria di me), ma in questo caso il tanto dibattuto "horror" messo al centro durante il Festival di Venezia riesce a tutelare l'autenticità dei sentimenti dei protagonisti. All'inizio i continui flash-back rendono un pò tortuoso seguire la pellicola, ma rendono in un secondo momento più intrigante la storia stessa, in quanto il punto focale è cronologicamente all'inizio della vita dei protagonisti e c'era il rischio di bruciarsi subito i passaggi migliori della trama. In quanto alle atmosfere cupe non mi sono sembrate eccessive, ma funzionali al racconto di una sofferenza che c'è, ma che non rimane un qualcosa di alienante, ma fonte di unione e consolazione reciproca.

giovedì 9 settembre 2010

20 sigarette


20 è il numero di sigarette che fuma il protagonista durante il suo travaglio che la pellicola racconta. Nassirya 2003. La storia è quella autobiografica di un aiuto-regista (il regista del film nella realtà) che decide di avvenutrarsi in Iraq per un progetto cinematografico, fidandosi di chi dice che la guerra ormai è finita. La storia è tratta dal libro "20 sigarette a Nassirya" edito da Einaudi. La pellicola è stata inoltre oggi premiata dalla giuria presieduta da Mastandrea all'interno della sezione Controcampo durante il Festival del Cinema di Venezia. Dopo Green Zone, The Hurt Locker, Brothers, un contributo italiano per riflettere sull'insensatezza delle bombe e della guerra in Iraq. Violento, toccante, straziante, visivamente forte e montato in maniera serrata, restituisce il non senso della guerra emozionando fin da subito.

domenica 5 settembre 2010

Somewhere


Il mondo dello spettacolo raccontato nella sua vacuità nel modo più banale possibile. Un ritmo veramente scarso nonostante la pellicola duri nemmeno due ore. La recitazione del protagonista non è così convincente ed alcune sequenze sono molto lunghe tanto da sfiorare il grottesco, ma senza riuscire con questo a salvarsi. Non ero partita con grandi aspettative, perciò non era così facile deludermi e mi aspettavo un qualcosa di molto più oleografico. Invece non è questo genere di luoghi comuni che rovina la pellicola: non è il narrare l'Italia con gli occhi da turista, ma il rappresentare la vita dei grandi attori come terribilmente frivolo cavalcando molti stereotipi e rendendo il risultato finale veramente poco credibile e di scarso spessore.

sabato 4 settembre 2010

Happy few


"Tutti scopano con tutti finchè tutti si scocciano di scopare con tutti". Basta questa elementare descrizione della trama del film espressa da uno spettatore festivaliero appena uscito dal palabiennale, per riassumere la tara artistica di questa pellicola. Essa rientra, infatti, in quel buco nero in cui si annidano i film selezionati dalle giurie e che all'occhio perfino del più inesperto pubblico sembrano a dir poco impresentabili. Non c'è nulla di cinematografico in questa pellicola, solo sesso gratuito, incastonato in un'esile trama di scambio di coppie quantomai banalmente rappresentata. La metafora trita e ritrita dello squash per indicare lo scambio di corpi ed il palleggiamento di ruoli. Solo una decisa ironia salva dalla gogna totale alcune scene.

martedì 31 agosto 2010

Londor River


Brenda Blethyn è veramente sempre eccezionale nel ruolo di donna inglese di basso ceto sociale dilaniata dal dolore. In questo film tutto si gioca sulla diversità e contrapposizione fisica e culturale tra il suo personaggio di madre in cerca della figlia scomparsa e quello del padre del ragazzo musulmano anch'egli disperso. L'attentato del 7 Luglio 2005 all'autobus di Londra è lo sfondo di una pellicola sulla paura e la speranza, sul razzismo e la sensibilità umana. Un pò lento nella parte iniziale in cui questa figura di madre prende forma, è il primo film che vedo ambientato durante quell'attacco terroristico. Per due ore la paura del terrorismo viene vista con gli occhi degli inglesi e non degli americani, per una volta al centro dell'attenzione c'è un autobus e non le torri gemelle. Ormai la destabilizzazione degli animi non ha confini e questo film cerca di regalare una buonista speranza di riconciliazione.