martedì 18 ottobre 2011

This must be the place



Lo sguardo perso di Sean Penn, le lentine verdi, che gli regalano un colore di occhi così surreale, quei capelli colore nero Shock cotonati come un'enorme criniera: l'aspetto del protagonista è una eccellente sintesi di questo film. Sorentino sbarca in America con una storia più pretenziosa delle altre. Non racconta più una piccola storia, ma rappresenta la storia dell'America che si sta cercando, che sta cercando una sua nova identità. La trama non è nè originale, nè tipica del regista, ma la recitazione del protagonista ed alcuni accostamenti eccellenti come la fotografia intensa e dai contorni definiti e la sceneggiatura fatta di poche sarcastiche battute rendono il film veramente meritevole.

Il villaggio di cartone



Questo film è indiscutibilmente di Ermanno Olmi: lo è per la lentezza delle scene, lo è per l'atmosfera surreale e per la simbolicità della trama. Ciò che emerge è l'attenzione generale che la legge sull'immigrazione ha suscitato nel cinema italiano. Già nel film di Crialese "Terraferma", la questione morale sollevata dalle sanzioni date a chi aiuta gli immigrati diviene il centro della storia. Qui tale tema si incrocia con il ruolo della religione rispetto a questo problema. C'è una forte vena critica verso l'impassibilità della Chiesa, che diventa solo un contenitore vuoto di dogmi, sempre più svuotato dai valori che lo dovrebbero contraddistinguere.

La figura del sacrestano, così silenzioso, ma eloquente negli sguardi e nel linguaggio non verbale assomiglia molto a quella del Papa di Habemus Papam. Il film di Olmi riassume dunque alcune delle tematiche più a cuore del cinema contemporaneo italiano, ma il suo stile trasmette sempre una malinconia da far sembrare remoto anche il tema più attuale.

sabato 15 ottobre 2011

Viva Zapatero


Nel 2005 ricordo di essermi persa questo lungimirante documentario, la cui visione è in realtà illuminante se si pensa ai successivi Draquila e Silvio Forever. La Guzzanti si può infatti affermare che lanci un genere tutto suo: una sorta di documentario realistico e sarcastico al contempo, una reinterpretazione vulcanica e agghiacciante del documentario.

Con Viva Zapatero la Guzzanti vuole riscattare il boicottaggio della sua trasmissione televisiva "Raiot" e forse è proprio questo l'unico grande limite di questo film: l'egocentrismo narrativo che affligge la protagonista narratrice inquina un pò troppo il suo racconto. In sostanza commette la stessa pecca che accusa negli altri: di concentrarsi troppo sugli affari propri.

A parte questo Viva Zapatero è vulcanico, creativo ed irriverente.

domenica 9 ottobre 2011

L'amore che resta



Entro in sala consapevole della tristezza immensa della trama, ma convinta che la regia di Van Sant farà da gaanzia. In realtà ciò che vedo non è sicuramente il prodotto più patetico che potrebbe venir fuori da una storia del genere, ma non riesce comunque a comunicare nulla di nuovo. Sembra che la buona volontà del regista di ricreare una rappresentazione alternativa non riesca a dare un risultato di grande qualità. Nonostante gli attori protagonisti diano una interpetazione eterea e pulita, secondo me non è molto credibile proprio il modo tranquillo in cui i due vivono questo dramma. Pur rimanendo di alto livello la performance dei protagonisti, resta una trama molto irreale.

sabato 8 ottobre 2011

La pelle che abito


Chi osa sostenere che questo film di Almodovar sia meno almodovariano di altri scagli la prima pietra. Mi meraviglio che persino autorevoli critici abbiano affermato una tal leggerezza, in quanto "La pelle che abito" è solo in apparenza una narrazione differente. A me è sembrato, invece, un film assolutamente di Almodovar: il tema del possesso fisico e mentale, che imperversa nel film ricorda molto "Parla con lei" e persino l'attrice scelta come protagonista assomiglia molto a Penelope Cruz. E poi quell'inconfondibile modo estremo di rappresentare la vita: sempre vivacemente assurda e catastrofica. Era da tanto che non provavo il piacere di entrare in una sala e vedere dispiegarsi intrighi narrativi talmente aggrovigliati da non essere capace dopo mezz'ora di ricordare la storia dei personaggi. Trovo questo incantevole, perchè per me è proprio ciò che Almodovar vuole: spiazzare. La scena in cui Barderas dice al violentatore di sua figlia di avergli inflitto una vaginoplastica è una rappresentazione grottescamente drammatica del dolore di questo padre, una sorta di occhio per occhio e dente per dente, una vendetta dichiarata in una scena inconfondibilmente geniale.

Quello che penso è...chi non vorrebbe una vita almodovariana? Chi non vorrebbe una vita intensa e vissuta, con le sofferenze che generano gioie, e le più grandi ferite che smettono di sanguinare. Chi non vorrebbe avere la forza di raccontare le peggiori sofferenze con l'aria di sufficienza delle sue attrici feticcio, prima tra tutte Marisa Paredes?

Per questo Pedro è uno dei miei registi preferiti: perchè riesce a rappresentare assieme la vita che si vorrebbe con quella che non si vorrebbe, senza che le due cose stonino tra loro.

mercoledì 5 ottobre 2011

A dangerous method



La vera trappola di questo film, ciò che ha attirato così tanto l'attenzione del pubblico non è tanto il visino angelico della Knightley, nè la conturbante trama, ma il fatto che a volerne dare una propria versione è il regista che nessuno avrebbe mai immaginato si avvicinasse ad un plot del genere, il re del macabro: David Cronenberg. Dopo film come Crash, Spider e La mosca, Cronenberg si lancia in una storia d'amore piena di luoghi comuni e secondo me la trappola è proprio nel fatto che lo spettatore si rende conto che inequivocabilmente il connubio regista-trama non avviene mai. Lo so che è una affermazione alquanto lapidaria, ma Cronenberg di fatto applica il suo stile inconfondibile ad una storia assolutamente fuori luogo rispetto a tale registro comunicativo. Ne vengono fuori scene insensatamente surreali.

A parte questo i soggetti dei personaggi sono scritturati in maniera grossolana, primo di tutti quello della protagonista Sabina Splielrein, la cui evoluzione verso la guarigione è veramente solo abbozzata.