lunedì 26 novembre 2012

007 Skyfall


Skyfall è la versione 2012 di James Bond. A 50 anni dalla nascita del più famoso 007 della storia, la sorte dello storico personaggio viene messa nelle mani del brioso Sam Mendes. Già meritevole della fama di outsider ed al contempo attento interprete della cultura americana, vedi pellicole come “American Beauty”, Mendes dipinge un James Bond sbalorditivamente innovativo.
Siamo di fronte al primo James Bond che riesce a scrollarsi di dosso quella patina di “secondo ciak”, che la era after-Connery aveva lasciato in eredità agli sfortunati sequel.
Non è il solo soggetto di James Bond a stupire: la pellicola rompe lo schema del rifacimento retrò per mettersi in competizione con i migliori thriller che il mercato cinematografico mette a disposizione degli spettatori di questo genere oggigiorno. Eccelle, infatti, l’aspetto scenico delle inquadrature con visioni panoramiche che evidenziano ogni potenzialità spettacolare delle sale cinematografiche di nuova generazione, creando un rimando di valorizzazione reciproca impressionante. Anche in questo Mendes esagera, ma sta sul pezzo, mantenendo la maestosità delle scene centrata sullo skyline metropolitano, al quale i fan di 007 sono da 50 anni abituati.
Una scritturazione così centrata garantisce un gioco se non facile, perlomeno più semplice a Daniel Craig che dal suo canto interpreta uno 007 di classe equiparabile alla versione conneriana.
In più la trama si snoda senza intoppi e con una fluidità che non tutte le versioni precedenti sono riuscite a mantenere. Troneggia su tutto un’aura di sogno, che non sconfina nella surrealtà. L’uso di rimandi vintage come l’uso di una macchina d’epoca che sicuramente sarebbe stata attuale ai tempi del primo 007 restituisce un senso di continuità tra le varie versioni così come la storica sigla di apertura, che diventa di chiusura.
  

lunedì 19 novembre 2012

Cinderella man

Dal regista Ron Howard di film che se proprio non hanno fatto la storia del cinema, ne hanno sicuramente riempito il valore (vedi "Apollo 13, Il Grinch, A beautiful Mind), "Cinderella Man" propone uno zoom molto a fuoco sulla storia vera del pugile Jim Braddock durante gli anni della Depressione americana.
 Se la recitazione di Russell Crowe è raffinata e al di sopra delle capacità manifestate dall'attore in altre performance altrettanto ambiziose (vedi "Il Gladiatore"), il film pecca proprio a livello registico per un tono narrativo eccessivamente pietistico, che rischia di fare scadere la pellicola nel patetico. Lo sviluppo della carriera del protagonista viene attraversato cavalcando in modo troppo gratuito il tema della povertà del contesto sociale di appartenenza. Ciò che emerge, in sostanza, non è l'ambizione, nemmeno intesa come voglia di riscatto, ma la cupezza (anche visiva) di un momento triste sia per la storia del pugile, che dell'America intera. 
Se una impostazione del genere può essere vista come calzante nella parte iniziale del film, in cui è strutturalmente necessario dare una consistenza al personaggio, man mano che il suo progetto di riscatto viene affrontato e perseguito, il film rimane monocorde e piatto. Si nota, in sostanza un forte scollamento tra il personaggio a livello fisico e psichico e il contesto che lo circonda, lasciando la parte più energica del film alle didascalie finali. E' come se un elicottero che non sa se riuscirà a volare, piano piano scoprisse di essere un aereo di linea, ma mentre decolla la telecamera continuasse a zoomare sulla pista (di atterraggio e o decollo!), lasciando un senso di ambiguità nell'aria.

sabato 10 novembre 2012

Red lights

Con "Red Lights" esco completamente dall'isola felice di genere cinematografico sul quale sono abituata ad esprimermi. Pertanto all'inizio ho la crisi della pagina bianca...ho paura di non capire bene la trama: in genere i film che sconfinano con l'immaginazione seguono una logica poco terrena. Seguo la storia interrogandomi per ogni aspetto che mi coglie di sorpresa e vivo per tutto il tempo in uno stato di stupore e di attesa che l'orrido, il trucido si impossessi del mio sguardo lasciandomi sconvolta. Probabilmente ero rimasta un pò suggestionata dal trailer e dai racconti dei miei amici che avevano visto "Buried", il film di Rodrigo Cortès, regista di "Red Lights", uscito nelle sale un paio d'anni fa. Per tutto il film rimango affascinata da una trama in bilico tra metafora sociale e paranormalità allo stato puro. A rappresentare l'America della falsità e degli inganni c'è l'attore che maggiormente incarna l'icona del cinema americano: Robert De Niro. Col suo sguardo cieco coperto da occhiali imperscrutabili, De Niro monopolizza la necessità di credere nei potere ultraterreni ingannando milioni di americani attraverso spettacoli truccati. Nel frattempo gli scienziati si prodigano a trovare evidenze empiriche dei suoi poteri, mentre il giovane protagonista del film gioca le sue carte coi piedi per terra, fino al capovolgimento di ruoli finale. "Red Lights" cavalca furbescamente una universalità di tematiche riuscendo a trascinare qualsiasi spettatore, in quanto gli lascia carta bianca di scegliere che film vedere ed in quale questione sociale, morale o indagine psicologica rivedersi. Le metafore sono, infatti, così ampie che chiunque può vedervi il proprio film, ma al contempo la trama rimane abbastanza coi piedi per terra sventando il rischio di un viaggio onirico senza nè capo nè coda. Inutile e stereotipato il preludio iniziale, con inquadrature che tagliano i particolare e non solo, lasciando un senso di trasandatezza, ma resta il dubbio che anche questo effetto non sia voluto.