lunedì 23 settembre 2013

Che strano chiamarsi Federico


È davvero strano chiamarsi Federico. Quando morì all' età di 73 anni era il 31 ottobre del 1993. Ricordo che ero seduta a tavola e non ero ancora abbastanza alta da emanciparmi dalla posizione del piatto sul tavolo. Papà sedeva a capotavola e ruppe il silenzio dicendo " E' morto Federico Fellini". Ricordo ancora quel momento perché pensai fosse un suo paziente o un suo amico. Deglutii frettolosamente e chiesi " e chi è?? Un tuo amico?". Mio padre e mia madre, seduta all'altro capotavola risposero " è il più grande regista della storia del cinema". Io ritirai la coda tra le gambe vergognarmi un po' per non aver conosciuto prima il nome di un autore, di cui avevo già provato a vedere " 8 e 1/2". 


Guardo scorrere le immagini del documentario e questi ricordi affiorano alla mia mente superando le strade statali e quelle provinciali dei pensieri quotidiani, arrivando alla velocità di una fiammante Lamborghini a superare le barriere del tempo fino a costituire un quadro perfetto che mi si staglia davanti. Ricordo allora quella domenica d' autunno in cui aprii lo scrigno della vetrinetta in cui erano collocati centinaia di vhs e scelsi proprio "8 e 1/2". Avrò avuto otto anni ad esagerare e dopo le prime scene conclusi " questo (regista) non ci sta con la testa". Non ho mai più provato a rivederlo, ma ricordo con precisione l' onirismo di quelle scene aspetto che costituisce la colonna portante del documentario. "Che strano chiamarsi Federico" è narrativamente costruito in modo apparentemente non strutturato, quasi a ricordare la famosa regia senza copione del Maestro, in cui le battute si creavano sul momento. Il film si apre e si chiude con il ritratto di Fellini di spalle seduto sulla sedia da regista su una apparente spiaggia dove in realtà non si intravede la sabbia, ma una superficie compatta, quasi a voler ricordare gli effetti speciali di una volta. Di fronte si staglia un mare calmo e piatto ed il sole all'orizzonte ammicca ad un tramonto o ad un' alba a discrezione dello spettatore. La scena viene proposta all' inizio ed alla fine del lungometraggio. 

Nel mezzo il circo di Fellini, la sua vita viene ripercorsa fin dal suo incontro con Scola, il regista dell'opera. La pellicola trasmette il grande affetto di Scola verso il regista e ne viene fuori l'intera persona: dal vignettista bohemienne che di notte frequenta i bar citando in qua ed in là i grandi registi dell' epoca, al grande regista, che sfoggia la sua sciarpa rossa ed il suo famoso cappello mentre passa al vaglio dei provini i più grandi attori dell' epoca e della storia del cinema: Marcello Mastroianni, Vittorio Gassmann, Alberto Sordi, per non citare quelli solo nominati. "Che strano chiamarsi Federico" è una biografia che celebra l'uomo, ripreso spesso di spalle come a voler calcare l'inarrivabilita' del suo genio, e gli fa ruotare attorno tutti i film più famosi come in un Carosello. 
La voce narrante è un uomo qualsiasi, un deus ex machina che toglie l'incombenza di raccontare all'amico di una vita, Ettore Scola, lasciandolo godere nel suo ruolo di coprotagonista. Di riflesso si delinea il quadro di un' Italia che trasuda opulenza e benessere e soprattutto in cui la storia del cinema è tutta "work in progress".
Esco dalla sala inondata di una creatività mai provata che si sedimenta nei giorni successivi e mi accompagna nei miei pensieri nutrendosi dello strano coraggio di beffarsi della loro stessa pesantezza.

venerdì 13 settembre 2013

The marathon man - Il maratoneta


Arrivo ad incontrare "The Marathon man" chiedendo a google " quali sono i migliori thriller da vedere". Navigando approdo in un forum in cui tra "Die hard" ed il film di Arsenio Lupin compare il titolo directed by Schlesinger, alla regia anche del ben noto "Un uomo da marciapiede". 
Leggo ovunque che si tratta di un capolavoro. Metto su il dvd e l'incipit con un giovanissimo Dustin Hoffman che corre illuminato da un sole dalle tonalità tipiche delle pellicole anni 70 è già in sé un piccolo capolavoro. La vita piatta di un uomo semplice soprannominato "Lo scemo" prende presto la forma di un giallo coi tempi e le modalità sceniche tipiche dei primi thriller figli del grande Hitchcock. Molte scene infatti mi ricordano il grande Alfred: il colore del sangue negli scontri, la retorica rappresentativa con cui ci si arriva. Rimango colpita da come alcune scene riescano, nella loro apparente linearità espositiva a turbarmi. La scena in cuI il torturatore nazista afferma con voce neutra "Trapanero' un dente sano" mentre Dustin Hoffman immobilizzato di fronte lo guarda con atterrito, mi ha trasmesso un inatteso senso di violenza. Mi viene in mente la scena dell'occhio di Arancia meccanica e la violenza trasmessa da quel bulbo oculare forzato a rimanere aperto, a vedere. 
"The Marathon man" è un susseguirsi di scene da antologia del genere, un' escalation di tensione ed un finale che mi ricorda sia i gironi danteschi per la morale trasmessa sia  una celeberrima scena con Kim Novak in "La donna che visse due volte" .

lunedì 9 settembre 2013

Da Rocky a Rocky Balboa


Rocky al quindicesimo round affonda sul ring e grida, grondante di sangue e con gli occhi a fessura "ADRIANA TI AMO!" Con la voce graffiante da tigre incazzata di Ferruccio Amendola e lo sguardo da trentenne e la camminata tutta sua: un passo ciondilante allineato all'altro. Ogni sequenza di secondi gira il collo di lato e cronicamente molleggia (avrà copiato da lui Celentano?) sulle ginocchia e tira accenni di pugni a sinistra e a destra. Poi quando racconta le barzellette che non fanno ridere ad Adriana ed in un gelido pomeriggio d' inverno di fronte ad uno zoo sommerso dalla neve abbozza un " mi chiedo se ti dispiacerebbe molto sposarti". Alla conferenza stampa che presenta il match con Apollo Creed dichiara che coi 20000 dollari che guadagnerà regalerà ad Adriana "due belle bocce di profumo " si perché ad Adriana piacciono i profumi". Poi sale sul ring nel secondo, nel terzo,nel quarto, nel quinto e nel sesto sequel ed anche se il corpo si trasforma, l espressione è più matura, Rocky Balboa è sempre Rocky Balboa: non molla mai e si rialza sempre. Un grande esempio di resilienza fisica e mentale. Una lezione di amore antico rude e romantico al contempo e di dedizione verso le proprie ambizioni. "Io non ti ho mai chiesto di non essere una donna, non chiedermi di non essere uomo" è una delle perle della favolosa sceneggiatura di Stallone stesso. L'attore regista sceneggiatore si rende autore di uno script unico, che disegna in profondità un personaggio di borgata, un uomo tra tanti che cerca riscatto.

"Guarda che il mondo non è tutto rose e fiori... è davvero un postaccio misero e sporco e per quanto forte tu possa essere se glielo permetti ti mette in ginocchio e ti lascia senza niente per sempre!!! ne io ne tu nessuno può colpire duro come fa la vita perciò andando avanti non è importante come colpisci l'importante è come sai resistere ai colpi come incassi e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarti... così sei un vincente!!! e se credi di essere forte lo devi dimostrare di essere forte perché un uomo è forte solo se sa resistere..."

giovedì 5 settembre 2013

Time

Vincitore del leone d oro al 69 o Festival di Venezia, Time è un film crudele. Ritrae l' altro lato della medaglia della passione che è l' odio: Quello estremo, che deturpa il corpo e l'anima. L' antinomia tra il candore, l' ordine, la pacatezza e la profonda spiritualità della cultura orientale e la brutalità profonda del senso di vendetta di un rapporto alla deriva, costituisce il valore massimo che il regista riesce a trasmettere. L' idea che anche in culture orientali il fisico diventi strumento di forte comunicazione e non di allusione a stati d animo intangibilmente eterei è un forte richiamo che il regista lancia verso la cultura del proprio popolo. Si fa così portavoce di un cambiamento o perlomeno instilla un profondo dubbio.
L' aspetto della trasformazione violenta del corpo riporta la mia mente, avvezza alle evocazioni in parallelo, al film di Almodovar "La pelle che abito", anche se si tratta di una pura libera associazione che mi sono concessa.