"W l'Italia, l'Italia che lavora": questa frase, tratta dalla celebre canzone di De Gregori, mi è congeniale per sintetizzare la realtà sociale che il nostro Paese sta attraversando oggi. La drammaticità del problema, suffragata dalla sua portata, è tale da animare ormai le piazze, i reportage e diventa protagonista anche del cinema. Se la settima arte è uno specchio della società questo film è una sorta di outing plateale. Sembra che la situazione lavorativa sia oggi talmente drammatica da trovare forme di espressione in ogni rivolo disponibile: ogni forma di comunicazione resta coinvolta nel denunciare questo vergognoso stato. Bisogna in qualche modo trovare un contenitore a questa condizione del nostro Paese, giacchè essa non trova alcuna forma di contenimento nell'unico vero organo preposto ad affrontarlo: il Parlamento.
Questa premessa non ha in realtà solo un ruolo polemico, ma serve a dimostrare come questo film vada visto più di pancia che di testa. Certamente l'obiettivo del regista è più incentrato sul messaggio etico-sociale da mandare, che non sullo stile con cui lo si comunica. Fino a che punto si può lottare contro l'ingiustizia delle raccomandazioni camuffate come segnalazioni? Si può agire nell'illegalità per fare rispettare la giustizia? E poi soprattutto: legge e giustizia sono la stessa cosa? Sembra proprio di no da quel che emerge dallo script. Per il resto il film sembra mantenersi ad un livello comunicativo molto divulgativo: l'obiettivo sembra proprio quello di voler raggiungere il grande pubblico, se non altro proprio perchè il film riguarda quasi tutti gli spettatori attesi. La scelta del cast rientra in quest'ottica (dal gieffino Luca Argentero, a Paola Cortellesi, a Paolo Ruffini, attore nel prodotto popolare "Maschi contro femmine").
Seppur apprezzando la missione sociale di questa pellicola, ho trovato il ritmo e la sceneggiatura un pò singhiozzanti ed i personaggi un pò troppo tipizzati.
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