venerdì 4 ottobre 2013

Gravity

Codici, nomi impronunciabili, linguaggio strettamente tecnico: entro in sala aspettandomi tutto questo, ma qualcosa mi suggerisce che non sarà proprio così. Con questo presentimento decido di andare a vedere "Gravity": un genere che altrimenti non mi avrebbe rapito.
Il mio sesto senso trova conferma empirica in una qualità di immagini in 3D capace di trasmettere l'immensità della vita e di ciò che va oltre quella caverna di Platone, quell' uovo prossemico chiamato Terra. Al di fuori di questa sfera colorata di tante tonalità di blu, marrone e verde, si staglia l'infinito. 
Fino a poco tempo fa avrei ascoltato solo la voce della ragione, che avrebbe portato a pensare che alcune scene del film sono poco credibili o scontate: l'abbandono del "grillo parlante" Clooney nello spazio, la selezione di una astronauta così umanamente fragile ed insicura come Sandra Bullock. In una umida serata d'autunno, invece il cuore mi trascina a credere fino in fondo a questa gigantesca metafora della vita. 
Quanti schemi ci condizionano nella nostra caverna di Platone quotidiana? La prima è una legge fisica: quella della gravità, poi vengono tutte le nostre paure, la nostra voglia di vivere e quella di mollare tutto che lottano quotidianamente contendendosi sul filo di lana la vittoria del potere d'azione.
La Bullock raggiunge la maturità attoriale interpretando un ruolo altamente drammatico e profondo, senza poter contare sul potere della fisicità, essendo in tuta da cosmonauta per tutto il film, riuscendo tuttavia a trasmettere tutta la fragilità dell'uomo di oggi, in un'ora e mezza di scena quasi completamente dominata da lei.
Non più soggetta alla legge di gravità, rimane vittima delle sue paure e di fronte ad una missione di cui è la palese unica superstite, lotta per contrastare la voglia di raggiungere la sua unica figlia in cielo.
Crisi di panico, paura di non essere all'altezza, che l'ossigeno finisca e che non ci sia nessuno laggiù sul globo terrestre a rispondere al suo segnale di aiuto "Huston alla cieca", voglia di staccare tutto ed aspettare che questo ultimo giorno si compia: tutto ciò rimbalza improvvisamente contro l'altro lato di sè che la richiama a combattere e quindi a vivere.
Un film forse furbo, ma universale, in grado di colpire il cuore di tutti, senza scadere nel patetismo, grazie ad una scritturazione del personaggio della Bullock, che sembra esserle cucito addosso. Una grande prova per Sandra Bullock, che denota una forte crescita professionale se si pensa alla ragazza acqua e sapone di "Un amore tutto suo", film che la aveva lanciata nel mondo di Hollywood nel '95.

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