Riuscire a beccare l'orario di programmazione per vedere "Rush" appare ormai ai miei occhi sfidante quanto le corse del film, quando in una frizzante serata d'autunno entro nella sala giusta all'orario corretto. Dopo aver atteso questo momento per una decina di giorni, le mie lievitate aspettative creano una cortina di ghiaccio, difficile da superare. Per i primi tre quarti d'ora del film la sensazione che domina dentro di me è di spiazzante disappunto.
Nella strutturazione narrativa di un film la prima parte è dedicata alla "messa in solido" dei personaggi. A me sembra tuttavia che James Hunt e Niki Lauda siano messi a fuoco solo relativamente ad aspetti stereotipati e che non venga fuori l'essenza del loro carattere, ovvero la nitidezza del "da dove vengo" e "dove sto andando". Ron Howard, del resto, è un regista che si è sempre distinto per film d'azione, fatto salvo "A beautiful mind".
Il primo tempo del film finisce col soffrire di una lentezza narrativa data dal gravitare attorno a personaggi sostanzialmente vuoti e difficili da "sentire" emotivamente. Ciò sembra essere davvero un paradosso visto che l'obiettivo centrale del film è proprio il continuo parallelo tra l'uno e l'altro pilota.
Quando si spengono le luci in sala ed inizia il secondo tempo, ho il presentimento che le regole sulla strutturazione narrativa dei personaggi non siano così assolute. In " Rush", infatti, succede qualcosa che non avevo mai osservato in un film: i personaggi acquisiscono profondità nell'agire, ovvero nella parte della pellicola che in genere coincide con lo sviluppo della storia. In breve: evoluzione della trama e strutturazione dei personaggi vanno di pari passo, fino a sovrapporsi.
Nonostante la recitazione dell'attore Daniel Bruhl (Niki Lauda) non mi entusiasmi, la storia del pilota di Formula 1 mi spiazza e travolge con una serie di riflessioni che si diramano nei miei pensieri prendendo strade singolarmente distinte.
Da un lato c'è la storia di una carriera vincente, che diventa tale passando attraverso una grave crisi, che mette a dura prova il carattere del pilota Niki Lauda, contro la piattezza della vita sregolata, ma tutto sommato prevedibile di Hunt.
Un altro rivolo di pensieri va al valore intrinseco dello sport stesso, sul quale finora non mi sono mai fermata a riflettere. Quando esco dal cinema, concludo che correre a quella velocità, affrontando ogni volta un rischio mortale è una religione rivestita con una tuta ed un casco, piuttosto che uno sport profondamente privo di etica.
Esulando dall'aspetto sportivo e competitivo in sè, "Rush" è anche una grandiosa riflessione sul senso del limite che ognuno si porta dentro, attraversando il prezzo della vita e della morte, della vittoria e della sconfitta, binomi che si intrecciano continuamente nel film.
Non per ultimo c'è il rapporto tra due piloti, le cui vite scorrono parallele e si definiscono sempre meglio nelle loro peculiarità distintive, man mano che la trama avanza.
Anche solo per uno di questi rivoli di pensieri, "Rush" merita di essere visto.
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