"Another Year" si caratterizza come film straziantemente realistico fin dal titolo, che esprime perfettamente il modo in cui una persona depressa vede il passare del tempo, cioè come un piatto " altro anno". Mike Leigh si dimostra non solo all'altezza delle sue precedenti pluripremiate creazioni ("Segreti e bugie"), ma scavalca a mio parere il livello di rappresentazione della realtà fin qui raggiunto. Il nostro maestro non ha paura di scavare ancora più a fondo nella mediocrità della vita di chi sopravvive nei sobborghi di Londra, scoprendo qui una sofferenza messa a fuoco in maniera così nitida da essere impressionante. Complice una fotografia perfettamente sincronizzata con lo stato d'animo del film ed una recitazione da far invidia a qualsiasi premio Oscar degli attori principali. Uso l'espressione "stato d'animo" del film non a caso. Non si può, infatti, dire che si tratti di un film univocamente drammatico, ma proprio come l'umore di una persona depressa emergono a sprazzi lampi di umorismo geniale. Da questo punto di vista, l'armonia tra i vari aspetti del film è ammirevole e la potenza della sceneggiatura fa rimpiangere di non poter registrare l'audio del film per potersi poi ritrascrivere determinati passaggi.
Al di là dell'impatto emotivo e visivo, "Another year" è anche un vero trattato sul ruolo dello psicologo nella società e nella professione. Non so quanto consapevolmente Leigh pone al pubblico una pesante riflessione deontologica. Fino a che punto è giusto fare entrare nella propria casa e nella propria vita una persona disperata per puro senso di compassione? E poi ancora: quanto è utile la pietà per chi soffre? Aiutare così narcisisticamente gli altri è un vero aiuto?
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