Napoli mi rcorda i viaggi della mia infanzia, quando mi divertivo a scorrazzare per i corridoi degli alberghi, incurante del luogo in cui mi trovavo, ma solo estasiata dall'aver tanto spazio in cui muovermi e soprattutto senza compit da fare. A Napoli sono entrata nella prima Feltrinelli della mia vita in ci ho speso il mio primo salvadanaio di risparmi in libri. Immagino che analoghi ricordi immersi in una dimensione leggedaria e libresca, abbiano ispirato il regista italoamericano John Turturro nel mettere in piedi un fil camaleontico ed indefinibile in termini di genere. Risulta riduttivo chiamarlo musical o documentario o film corale. La cosa più sconvolgente è vedere un americano volgere un tributo verso il simbolo dell'italianità senza apparire un turista, ma un cantore di una bellezza autentica che parte dalle strade e dalla gente povera , dai suoi sogni e dalla sua storia artistica e musicale. Questa autenticità non è mai macchietistica, ma conduce il "docu-musical" con una vorticosa passione.
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