Dal brillante regista di film
introspettivi quali “The Hours” e “The Reader- Ad alta voce”, con “Molto forte,
incredibilmente vicino”, Stephen Daldry decide di raccontare uno spezzone di
storia americana. Partendo dalla trama dell’omonimo romanzo di Jonathan Safran
Foer (2005), il regista trova un perfetto parallelismo tra la tragedia dello
storico attentato alle torri gemelle a la ricerca della propria storia e di
quella del padre da parte del protagonista di nove anni Oskar Skell. Se la
figura paterna è incarnata da un Tom Hanks ormai diventato icona dell’identità
e dell’orgoglio americano, il ruolo del figlio è interpretato da un eccellente
Thomas Horn.
Per fortuna e purtroppo non posso
entrare nel merito della comparazione della versione letteraria con quella
cinematografica. Sicuramente la storia ben si presta ad una sua scritturazione
patetica e piatta, ma il regista riesce tutto sommato a tirarsi fuori dal
patetismo quasi assicurato. L’escamotage per non cedere ad una storia
banalmente strappalacrime è quello di interpretare il dramma del figlio alla
ricerca di tracce che diano un senso alla vita ed alla morte del padre in una
sorta di ricerca riflesasa di sé stessi. La figura del padre diviene così solo
un deus ex machina per portare il ragazzino ad uscire dal recinto delle proprie
patinate certezze, avventurandosi in una creativa, vivace ed intensa caccia al
tesoro alla ricerca di sé e di un senso per la propria vita. In quest’ottica
“Molto forte, incredibilmente vicino” non è altro che un trattato informale di
psicologia di sviluppo. In proposito vien da dire che il ruolo della madre
Sandra Bullock è da manuale. Il suo modo inatteso di comportarsi, monitorando
l’avventura del figlio, pur senza invadere le sue scoperte nè controllare o
giudicare, coincide proprio con quello che tecnicamente è il ruolo del genitore
che accompagna senza proteggere. Anche la madre di Oskar ha bisogno di trovare
un senso all’accaduto, come membro della famiglia, anche lei ha subito un lutto
importante, ma quando avverte il malessere del figlio trova la forza di
disassopirsi dal torpore depressivo in cui l’evento scioccante della morte del
marito l’aveva piombata. Capisce che
Oskar ha bisogno dei propri spazi e li rispetta, ma al contempo lo difende dai
pericoli. Riesce,m così, nel difficile intento di difendersi dalla propria
ansia senza limitare il desiderio legittimo di riscatto di suo figlio. Fin dove
può arrivare il figlio con l’aiuto della madre? In quale pericoli può incorrere
se lei lo lascia totalmente artefice del proprio destino? Ricostruisce così
anche lei la mappa del percorso che il figlio deve attraversare. Ne anticipa
silenziosamente le mosse come un Messia che viene angelicamente dal cielo.
Se alcune scene sono poco
registicamente interpretate e risultano un buon compito in classe d’effetto, il
risultato finale comunica una grande profondità che lascia dimenticare alcuni
scivoloni tecnici.
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