
Emmanuelle Seigner, moglie di Polanski, interpreta un'attrice camaleontica e dal ruolo camaleontico: già perchè in "Venere in pelliccia" tutto è doppio. Il doppio gioco tra recitazione e vita, il ribaltamento dei ruoli tra regista e attore, l'ossimoro tra complessità narrativa e fisicità del contenuto narrato. Tutto questo viene messo in scena con sensualità ed intellettualismo. Il film sul sessimo si ribalta continuamente, spiazzandomi così come rimane spiazzato il protagonista della pellicola che è l'adattatore dell'opera narrata. A tratti la realtà del film si confonde con la piece dentro il film, interpretando al meglio il teatro pirandelliano.
Polanski non è sicuramente il primo autore ad avere interpretato liberamente l'opera di Pirandello. Ricordo ad esempio "La rosa purpurea del Cairo" di un altro paroliere del cinema mondiale: Woody Allen. Andai a vedere quel film proprio quando stavo studiando il grande narratore siciliano al Liceo.
Ciò che rende unico il film di Polanski è la capacità di mettere assieme livelli narrativi diversi e coniugare epoche e mondi culturali, visioni sociali e rappresentazioni psicologiche interiori, e poi ancora l'introspezione freudiana applicata al gioco degli attori, tirando in ballo non solo quelli che lo sono sulla scena, ma anche quelli che lo sono nella vita. L'equilibrio di coppia è interpretato in chiave ottocentesca e poi reinterpretato in chiave moderna, sino a diventare una fotografia ad alta definizione del rapporto amoroso postmoderno.
Il tutto è incorniciato in una parentesi di incipit- fine surreale e magrittiano.
Ecco cos'è stata per me questa Venere in pelliccia.
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