L'immagine stilizzata della
moto di "Caro Diario" con la sottostante impressione del nome della
casa produttrice Sacher sancisce l'incipit
di "Mia madre".
Eppure fin dalle prime inquadrature si percepisce un
clima ben lontano dai monologhi esistenziali del Moretti anni'80 e '90.
Con "Mia madre" il
regista conferma di voler trasferire il focus della telecamera dai propri
conflitti ideologici a quelli esistenziali.
Lo zoom sulla situazione
occupazionale che infervora gli animi degli italiani, viene ridotta ad un
metateatro geniale e bizzarro che non nasconde un tono di beffa.
L'assenza di comunicazione tra datore di lavoro e dipendenti è rappresentata
dall'istrionico Turturro che trasforma il dramma lavorativo contemporaneo in poesia e commedia. Questa scelta comunica a
mio avviso l'intento di rendere periferici e teatrali i drammi imposti dalla
comunicazione mediatica attuale. Stessa ottica provocatoria si riscontra nella scelta di intitolare il film ad un elemento narrativo non così centrale. Si insinua
il sospetto che il regista giochi sul voyeurismo degli spettatori spiazzati
dalla narrazione di un lutto che appare essere sempre più legato ad un dramma
trasversalmente sociale ed esistenziale, più che interno ad una relazione
madre-figlio.
Quello che rimane in questo
quadro di depistaggi e parentesi tonde di metateatro è un intento comunicativo
ordinato, che sulla confusione delle immagini dei ricordi costruisce un forte
filo conduttore.
Margherita Buy è alla ricerca
di sé stessa proprio come lo era il Paladini di "Caos calmo".
"Mutatis mutandis" ciò che rimane è l'impellenza di comunicare uno
smarrimento.
Al disordine interiore che il
regista comunica si contrappone un estremo rigore rappresentativo ed estetico.
Ogni scena scandisce uno stato emotivo e lo rappresenta unendolo a tutto il
resto come le pagine di un libro che viene improvvisamente aperto da una folata
di vento, rimanendo tuttavia impaginato grazie alla solida rilegatura.
"Mia madre" possiede il livello di introspezione e la raffinatezza necessari per colpire la sensibilità dei giurati
del Festival di Cannes.
Grande recensione
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