"Lo sguardo di Solomon Northup è senza prospettiva", questo pensiero mi attraversa come un fulmine i pensieri tormentati dalla visione del film più violento che il cinema abbia mai realizzato. La composizione fotografica del primo piano del protagonista lo vede guardare verso una direzione spezzata, mentre il resto dello schermo gli si pone alle spalle. Solomon si rivolge così al pubblico. Penso e francamente spero sia l'ultima scena del film, mentre lo "spettacolo" continua.
Molte scene sono esasperanti per la violenza utilizzata, tanto da farmi chiedere più volte quanto sia arte tutto questo. Se il fine del regista è quello di emozionare e "scuotere" l'obiettivo è centrato. Se l'obiettivo è quello escatologico di pulire con due ore di pellicola la coscienza degli americani, il ruolo del film risulta ingombrante, ma formulato in maniera efficace. Se si pensa, invece, al cinema come luogo di espressione artistica ho un forte dubbio su quanto ciò che ho visto possa chiamarsi arte. Piuttosto è una bella lezione di storia, sicuramente più incisiva ed efficace di tante pagine scritte.
La schiavitù esiste ancora, "12 anni schiavo" ne racconta un capitolo importante. La costruzione del film non è il suo punto forte se se ne considera la creatività, ma lo è nella densificazione della tensione che genera. Si passa, attraverso tempi volutamente lenti e travagliati, dalla violazione estrema della dignità umana a livello fisico a quella psicologica. Man mano che i minuti passano si è sempre più portati a riflettere sulla perdita della speranza, piuttosto che su quanto il protagonista stia subendo ora. Si entra nei pensieri di gente, che canta mentre raccoglie il cotone e dice di non sapere nè leggere nè scrivere, per evitare di fare una fine ancora peggiore da quella che presagisce. In questo silenzio ho molto rivisto il film completamente diverso per il tema trattato "Lo scafandro e la farfalla". Il regista riesce, infatti, a raccontare senza molte parole, ma con una fotografia all'altezza del ruolo accordatole, i pensieri del protagonista mediante le immagini.
Il ruolo di Brad Pitt, deus ex machina riduce in maniera facile il ruolo del regista nel risolvere la tensione generata. Una polarizzazione di "bene" e "male" tutto sommato accettabile se si pensa che la differenza del comportamento dei "padroni" contro gli schiavi non è trascurata. Steve McQueen non scivola su questo aspetto a mio avviso importante. Riesce, anzi, a raccontare con limpidezza come gli schiavi diventassero oggetti su cui scaricare le proprie frustrazioni.
Se il cinema è inteso come mass media il film rappresenta un'espressione forte e riuscita, se il suo ruolo è quello di comunicare, sensibilizzare ed educare "12 anni schiavo" lo fa, ma non ditemi che questa è arte.
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